(T. Carmellini) – È il secondo allenatore, consecutivo, che lamenta (seppur in maniera diversa) la poca applicazione di De Rossi. E non è una questione di prendere posizione a favore o contro qualcuno. Quando a fine gara Zeman va giù duro sui giocatori che non si allenano come dovrebbero e che «pensano solo ai fatti loro», crea consapevolmente una spaccatura nello spogliatoio, ma allo stesso tempo dà una garanzia a tutti. Lo fa mettendo la sua testa sul ceppo, ben sapendo come in caso di sconfitta sarebbe stato decapitato. Perché De Rossi a Roma non si può toccare! I romanisti dovrebbero domandarsi perché, visto che a Totti, in tempi nemmeno tanto lontani, non sono stati fatti sconti. Semmai potremmo discutere della scelta del boemo di farlo diventare pubblico. Zeman comunque ci ha messo la faccia e proprio questa è una delle prime cose che ci fa essere dalla sua parte a prescindere da tutto. Poi c’è la questione della credibilità e del rispetto dei ruoli. Se Zeman è credibile quando parla di doping, farmacie e istituti bancari, perché non dovrebbe esserlo quando accusa, i «suoi» giocatori, di non lavorare bene? Cosa dovrebbe fare un allenatore che vede i suoi «big» allenarsi male e senza passione? Metterli fuori squadra sembra il minimo e il fatto che Zeman lo abbia fatto con due (forse tre…) pezzi da novanta, depone ancora una volta a suo favore. Niente sconti, per nessuno. E basta alibi per chi ha stipendi pesantissimi e continua a non rendere come dovrebbe. Se la Roma vuole crescere deve liberarsi di questi vincoli mentali e iniziare a valutare i giocatori per quello che danno in campo: con i bonus del passato non si fa classifica.