(F. Bocca / M. Pinci) – Le cose, spesso, non cambiano. Soprattutto a Roma, soprattutto in una città dove da due anni, sperano che il film finisca diversamente, e invece la storia sempre in quella maniera s’intreccia. Si parte con delle gran fanfare, si cambia allenatore, si riaccende la piazza, si rifà la squadra da capo o quasi – alcuni buoni, altri sconosciuti “oh ma dei fenomeni, tranquilli…” – si conquista il mondo a chiacchiere, ci si schianta contro il muro già a fine settembre. Non è un finale diverso che serve alla Roma, le serve proprio un nuovo inizio. Le cronache dallo schianto sul muro di Torino offrono di tutto.
L’allenatore santone Zdenek Zeman, anni 65, discusso e spernacchiato? C’è. La squadra sfasciata? C’è. La società groggy e frastornata incapace di rincollare i cocci? C’è. Il classico risentimento di spogliatoio? C’è. Le cose, spesso, non cambiano: ci sia Luis Enrique o Zdenek Zeman. Si passi da un allenatore quarantenne senza storia, a uno sessantacinquenne che vittorie non ne ha ma una storia sicuramente sì. E non cambierebbero probabilmente anche se a Roma ci fossero Guardiola o Capello, Villas Boas o Montella.
Fino a quando si penserà all’allenatore come uno stregone suggestionatore questo succederà. Se ingaggi ZZ sai che certe giornate ti capiteranno, sai che perderà delle partite nella maniera più assurda e ridicola, sai che lo malediresti per il suo snobismo e incapacità assoluta alla difesa, al solo pensiero di dover marcare duro – marcare? Orrore – uno come Pirlo. Sai per compenso, che prima o poi, la sua squadra fiorirà, che i gol arriveranno e le soddisfazioni pure. Tutto sta capire quanto poi…
E Roma è stanca di aspettare. A Roma si cerca di tener disperatamente fuori dalla bufera Zeman, anche se i suoi bei pasticci li ha combinati. Ha caricato l’avversario rinvangando anche vicende ormai storicamente chiuse, è stato così (splendidamente) presuntuoso da pretendere di mettere nel cuore della Roma Tachtsidis, un ragazzo, disinteressandosi totalmente a Pirlo. Ma se a Zeman si cominciano a rimproverare l’integralismo e l’età, vuol dire che non si è più disposti a sopportare. La squadra ha avuto un giorno di riposo in più, proprio per smaltire meglio le sberle della Juventus, e perché la Roma non diventi già un assillo.
Domani Sabatini e Baldini parleranno alla squadra per responsabilizzarla, per toglierle qualsiasi alibi, per non personalizzare il 4-1 di Torino con la bambola dell’allenatore, per stroncare forse i primi malumori. De Rossi, per altro irriconoscibile, ad esempio ha detto chiaramente che “parlare di scudetto fa male alla Roma”, smentendo così Zeman stesso. Il giorno dopo arriverà il padrone americano James Pallotta a chiedere conto degli investimenti che stanno fruttando troppo poco, al momento un sesto posto scarso (e con i tre punti a tavolino di Cagliari…). E bisognerà anche riempire la piscina perché vuoi togliergli la soddisfazione di buttarsi in acqua vestito? Le ondate di mercato hanno creato troppa attesa e alla fine aumentato i dubbi. Piris è un oggetto misterioso, Bradley e Dodò infortunati, Destro costato circa 16 milioni, non è un titolare fisso. Senza contare l’etereo Lamela, ingaggiato l’anno prima. Nel finale di Juve-Roma si trovavano in campo Taddei e Perrotta, ormai provenienti da antiche ere giallorosse, segno che il rinnovamento della Roma non è stato il massimo. Dopo aver riempito l’Olimpico con la sola fede, i tifosi cominciano a disilludersi un’altra volta. Le cose difficilmente cambiano, e a Roma lo sanno bene.