(A.Pontani) – Dicono che Antonio Conte sia più arrabbiato che sollevato, dopo l’ultimo atto della sua partita con la giustizia sportiva. Si è sempre detto innocente, si ritrova comunque condannato e – a suo giudizio – senza aver avuto la possibilità di difendersi davvero.
Ognuno può farsi naturalmente la propria opinione sulle responsabilità del tecnico della Juve, in un ventaglio che va dal complotto antijuventino (allenatore innocente e chiamato in ballo solo per destabilizzare la squadra) a quello pro Conte (il diabolico sistema che diluisce accuse e condanne nei vari gradi di giudizio per insabbiare le colpe reali). Ma in realtà c’è un unico fatto incontestabile emerso in questi mesi di angosciante tira e molla: il disastro della giustizia sportiva, della Federcalcio e della sua procura, in tutte fasi in cui sono stati coinvolti.
Per ricapitolare le gaffe, le incongruenze, le marce indietro, le ingiustizie di questa giustizia servirebbe un libro. Basti allora ricordare alcuni capisaldi dell’azione di Palazzi:
1) Nessuno del mondo del calcio si era accorto che le partite, tante partite, erano fasulle, concordate, vendute. Né gli ispettori federali (ormai una categoria dello spirito), né i dirigenti. Nessuno.
2) Le prime denunce erano state accolte con alzate di spalle, sorrisetti, battute ironiche. E cassetti in cui custodirle accuratamente per mesi, come nel caso di Farina.
3) Il proclama iniziale era stato: chiuderemo tutto prima dell’inizio dei campionati. Palazzi ha chiuso invece quello che pareva a lui: il caso Conte, che aveva il giusto impatto mediatico per dare un’idea di efficienza, e tutti i processi ai pesci piccoli. Su Napoli, Genoa e Lazio stiamo ancora aspettando di sapere quando ci saranno i giudizi, mentre in campo sgambettano ogni domenica decine di giocatori in attesa di giudizio.
4) Su Conte il procuratore Palazzi ha provato nell’ordine: a patteggiare al ribasso, a condannare al rialzo, a ripatteggiare in appello, ad avere una conferma dal Tnas: è stato sempre sbeffeggiato dai giudici, uno dei quali ha anche messo per iscritto che la sua istruttoria era sbagliata. Inoltre, anche per colpa della sua azione incoerente, è stata fatta strage dei principi fondamentali del codice di giustizia sportiva.
Ora, e sorvolando sulle altre atrocità come il fatto che tutte le sentenze hanno avuto come prelibato antipasto una fuga di notizie che ha permesso ai giornali italiani in coro di saperle con esattezza in anticipo, bisogna pensare bene alla potenza distruttiva di quanto appena riassunto. La credibilità del sistema di giustizia sportiva ne esce ridicolizzata, come dice a ragione Andrea Agnelli, che ha posto la sua riforma tra le cose imprescindibili per salvare il calcio. E c’è un ultimo elemento da aggiungere al quadro, per renderlo completo. Quello della conferma, secca e indiscutibile, di Palazzi alla guida della procura federale, annunciata qualche giorno fa con orgoglio dal presidente Abete. Premiato per meriti sul campo, evidentemente. Un messaggio forte e chiarissimo: noi siamo questi, ne siamo fieri, continuiamo così. Con gli stadi vuoti, gli sponsor che scappano, i campioni che emigrano e qualche scandalo ogni tanto, da sistemare come al solito, perché le tempeste passano sempre. Fino a quando qualcuno, magari chi gestisce il Paese nel suo insieme, non si sveglierà e capirà che c’è un problema, lì. Nel favoloso mondo del calcio italiano.