Per vincere un derby, si dice da sempre, non dovrebbero servire troppi tatticismi, dovrebbero bastare le motivazioni, l’amore per la maglia, la voglia di imporre la propria supremazia cittadina. Tutto ciò un romano dovrebbe viverlo all’ennesima potenza, come accade a Totti da vent’anni, come accade ai pochi romani che hanno indossato la maglia della Lazio, come purtroppo non è accaduto a De Rossi.
In questa Roma da due stagioni non va più bene nulla, assolutamente nulla: il processo elitario, il cambiamento sta avvenendo solo verso il peggio, verso il basso. Non si vedono miglioramenti di nessun tipo: la costante positiva è Totti, ma questo accadeva anche prima della venuta della nuova società. A questo si aggiungono Florenzi, prodotto di un vivaio magnifico per tradizione, e Lamela, unica felice intuizione, per rapporto qualità prezzo, di Sabatini, che ha sperperato molti soldi nella sua avventura in giallorosso.
Non serve un’analisi tattica, ma si deve analizzare un momento negativo e tutte le sue componenti; il calcio ed il tatticismo contano poco quando si vive in una tale confusione.
Meritano di essere menzionati solamente i tifosi, che sul 3-1 per la Lazio hanno cantato più della curva avversaria, interpretando il derby nel migliore dei modi, come se lo giocassero loro. Ma purtroppo non è così…
LA SOCIETA’. Una società che sta isolandosi, attaccando tutto ciò che la circonda pur di non riconoscere i suoi numerosissimi ed ormai incalcolabili errori di gestione. Baldini, a inizio stagione, ha attaccato i giornalisti romani per giustificare i propri errori; oggi verrebbe da chiedergli se sono i giornalisti ad aver pubblicamente messo ‘sul mercato’ De Rossi nella delicata settimana del derby.
No, non sono stati i giornalisti, ma l’ennesima uscita di cattivo gusto di un dirigente tornato troppo borghese e poco affamato di vittorie.
Pessima la gestione dei rapporti con la classe arbitrale, che nel dubbio non ha mai favorito la Roma, anche se deve essere chiaro, la sconfitta del derby non potrà mai essere imputata a componenti esterne.
L’ALLENATORE. Sono due stagioni che nella Capitale si cercano ‘scienziati’ del calcio, quando, invece, sarebbe il caso di optare per una normalità che ormai rappresenta un sogno. Lo scorso anno Luis Enrique guidò una squadra alla disfatta, quest’anno l’integralismo tattico di Zeman ci sta riportando verso il baratro. Tutto l’ambiente è affezionato al Boemo, per quel che ha rappresentato 15 anni fa, ma si tratta di un passato abbastanza lontano, e purtroppo nella vita le minestre riscaldate non sono mai troppo buone. Il suo calcio sembra anacronistico in tutto, partendo dalla preparazione atletica – i cui frutti non si vedono affatto – per finire con un tatticismo ormai capito da tutti, che non è in grado di cambiare. Forse non sono i calciatori ad essere inadatti al 4-3-3, ma lo schema ad essere inadatto in questa serie A di basso profilo, in cui la Roma non riesce assolutamente ad imporsi. I suoi ragazzi ancora non hanno capito come si attua il fuorigioco, non hanno capito come si attacca, non hanno idea di quale sia il centrocampo titolare.
Tante le domande che gli si dovrebbero porre: perché Castan non può più giocare? Perché De Rossi titolare dopo aver insistito a lungo su un discutibile Tachtsidis? Perché Pjanic nel dimenticatoio, per far giocare Bradley, brutta copia del calciatore ammirato a Verona? Perché Osvaldo sempre titolare, anche quando disputa prestazioni del genere?
Soprattutto inizia a diventare imbarazzante la ricerca di scusanti al termine delle gare perse, puntualmente per 3-2. Quando piove il campo è pesante per due squadre, ma al Boemo questa sfumatura non entra in testa. Non si giocherà più al calcio sotto la pioggia.
I GIOCATORI. Questa squadra non è imperfetta, è lontana anche dall’imperfezione, assolutamente incompleta in ogni reparto. È stato criticato a lungo Stekelenburg, comprato Goicoechea perché bravo con i piedi: ad oggi l’olandese, soprattutto con i piedi, sembra nettamente superiore. Oltretutto l’ex portiere del Danubio ha delle carenze importanti tra i pali, come dimostrato in occasione del primo goal, che un portiere di categoria non può avere. I suoi rilanci non superano mai la metà campo, anzi rinvia meglio con le mani che con i piedi. Piris, altro elemento inadatto al calcio italiano, ci era stato presentato come bravo in fase difensiva, ma carente in quella offensiva: abbiamo visto tutto l’opposto. È l’assist-man della Roma, ma anche degli avversari dopo l’incidente di ieri che va a sommarsi ai due contro il Bologna.
De Rossi è il più grande equivoco di questa squadra: strapagato, nonostante il pessimo rendimento, e senza una chiara collocazione in campo. Imbarazzante l’errore in occasione dell’espulsione, ancor più imbarazzante il suo comportamento a fine gara: va a chiedere scusa a Mauri, non alla tifoseria che lo ha sempre supportato, nonostante i momenti difficili. Speriamo la punizione di Prandelli gli serva a crescere, anche se, forse, a 30 anni è un po’ tardi per diventare grandi.
Sarebbe bello entrare nella testa dell’allenatore per capire cosa lo ha spinto a sostituire Florenzi, unico vivace, come sempre, lasciando in campo un pessimo Bradley. L’americano non indovina uno stop, mentre il numero 48 è una delle poche note liete di questa stagione. Come inspiegabile è il cambio Lamela-Tachtsidis: dovendo scegliere un attaccante da sostituire, Osvaldo era quello che stava facendo peggio, come ormai da settimane, mentre Lamela è sicuramente la punta di diamante di questa squadra. Il greco, purtroppo, è immaturo per la massima serie, forse faticherebbe a trovare posto anche in una squadra di medio bassa classifica ora.
Osvaldo è tutto ciò che una punta non deve essere, ad oggi non possono che crescere i dubbi attorno al suo acquisto. Ha conquistato tutti per la sua pettinatura, per la sua mitraglia, lontana partente di quella di un argentino ben più forte, ma sul campo il suo apporto rimane decisamente di basso profilo. I suoi movimenti sono sempre sbagliati, non ha la vena del goleador. In anni di calcio non ha mai segnato più di 13 goal in una stagione: i numeri non sono dalla sua parte, anzi, lo condannano. Questa squadra ha bisogno di una punta, che forse poteva essere Borriello, ma ha scelto un attaccante scartato da tutti in Italia.
Grandi dubbi anche attorno alla decisione di sostituire Totti, unica fonte di luce in mezzo al campo, da vent’anni – come scritto nella premessa – unico vero Capitano presente e futuro, che non avrà mai eguali, considerando anche i pessimi tentativi di imitazione.
Ultima considerazione va fatta per Pjanic: il bosniaco è indubbiamente il centrocampista più tecnico nella rosa, condannato in panchina perché quando impiegato gli viene sempre chiesto un lavoro da incontrista e non da calciatore di qualità. Sarebbe titolare in tutte le squadre di A, forse in molte d’Europa, tra cui il Barcellona che lo ha cercato in estate, ma Zeman gli preferisce calciatori che non troverebbero mai spazio in altre squadre. Contro la Lazio prova a dare la scossa, prendendo la squadra per mano, giocando dove vuole, senza ascoltare le indicazioni troppo severe di un tecnico poco attento al risultato, e alla ricerca di un gioco impraticabile.
A cura di Luca Fatiga