(A. Grasso) – Si va verso l’ineluttabile. Tutto ci dice male: il pronostico, i bookmaker, il digiuno cronico del nostro attacco, la facilità con cui gli arbitri ci assegnano un rigore contro, le condizioni di Ogbonna (nevralgia del pube), quelle di Glik (uscito malconcio e incerottato domenica scorsa), l’arbitro Rocchi. Con quest’arbitro abbiamo quasi sempre perso; ha già diretto due derby entrambi persi per 1-0 (e come non ricordare il gol di Trezeguet in evidente fuorigioco?). Si va verso l’ineluttabile.
Domenica scorsa, al Milan, che giocava con the other place, è stato regalato un rigore. Volete che non ci sia un immediato risarcimento? Indovinate a scapito di chi? L’altra squadra di Torino è stata allestita per vincere il campionato e disputare la Champions, noi per salvarci. Come dice Marco Ferrante, uno che i gol li sapeva fare, «ogni volta che li affronti devi sperare in un miracolo: puoi cercare di vincere di misura o almeno non perdere. L’unica chiave per invertire la rotta è la fame, la cattiveria agonistica». Si va verso l’ineluttabile. L’ultima volta che il Torino ha vinto il derby (doppietta di Ruggiero Rizzitelli) era il 9 aprile 1995, una generazione fa.
E bisogna risalire a 10 anni prima per assaporare una vittoria al 90′ (incornata di Aldo Serena su cross di Leo Junior). Il sapore della vittoria è qualcosa che appartiene al tempo perduto, si confonde con il magone, assomiglia a un graffito slavato dalla pioggia. Loro hanno un stadio che guarda al futuro, ottengono agevolazioni da un sindaco tifoso, noi siamo ancora seduti sulle macerie del Filadelfia. Si va verso l’ineluttabile. Con coscienza dei propri mezzi. Con rassegnata determinazione. Soli come nei momenti di rimpianto. Poi però basta sfogliare Topolino dove la stracittadina è presentata come Rubentus-Corino per pensare l’impensabile.