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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Totti segna il gol numero 300

Quando il gioco è oggettivamente falsato dovrebbe venire di conseguenza la sospensione del giudizio; conclusione che ci potrebbe anche stare, anzi ci sta, in ogni caso. Il fatto è che anche nell’acquitrino del Tardini, eccettuata la partenza agevolata dal giro di compasso con cui Lamela confezione l’ennesima illusione, abbiamo sentito le medesime note stonate che ci arrivano all’orecchio da Roma-Catania in poi. Identità, questa sconosciuta: a tutti quelli che si stanno affannando a dire che i rovesci della squadra sono figli delle ataviche carenze del gioco zemaniano, rispondiamo che né la maggior parte delle segnature avversarie né le svagatezze che vediamo soprattutto in mezzo al campo appartengono alla galleria di rischi e dazi che storicamente si pagano col quattro-tre-tre messo in pratica da sempre dal boemo. Dunque c’è altro, il che peggiora le cose e rende più fosco il quadro: questa squadra magari comincia con l’interpretazione dello spartito e poi regolarmente se lo perde per strada nel corso della partita, rendendosi arrendevole ed aggredibile da chiunque abbia un minimo di elementare organizzazione, a prescindere dal bagaglio tecnico complessivo. Come se ne esce? La convivenza tra Zeman e una parte cospicua di questo gruppo sembra al momento una chimera e la colpa in questi casi è di chi non segue le indicazioni di chi guida, su questo non devono esserci dubbi. E’ impensabile che giocatori di questo livello non mettano in atto il massimo sacrificio possibile per attenersi alle direttive di chi è stato scelto per ridisegnare la Roma dopo l’anno di limbo figlio della cervellotica scelta di chi aveva preteso di sperimentare sulla pelle dei tifosi le capacità di Luis Enrique, uomo anche intrigante ma esordiente totale. Questo non vuol dire che Zeman non debba finire sul banco degli imputati: quattordici punti, di cui tre figli della follia di Cellino; una marea di goal incassati, con o senza pioggia; soprattutto, ribadiamo, un’identità ancora di là da venire. E’ lecito pretendere di più anche dal boemo. C’è però un particolare che fa riflettere: Lamela. Il paradigma di un discorso che merita di essere approfondito. Si può amare o detestare il gioco di Zeman, così come il suo modo di intendere il calcio; non c’è dubbio però che i giocatori, soprattutto se tecnicamente dotati, che si sono affidati alle sue direttive e messo in pratica i suoi dettami hanno tutti tratto grande giovamento dal lavoro svolto con quest’allenatore. Ora, il fatto è che Lamela, dall’inizio della stagione, è apparso come il giocatore, forse l’unico della Roma eccettuando Totti che non doveva scoprire nulla, che dopo una crisi di rigetto è riuscito ad affidarsi totalmente a Zeman e ad assorbirne lo spartito, con la progressiva crescita in termini di goal e prestazioni che stiamo ammirando di partita in partita. Una gamma di prestazioni che va in totale controtendenza rispetto al resto della Roma. Questo deve far riflettere, obbligatoriamente. Per il resto, gli alibi sono finiti, per tutti. Purché non lo sia già anche la stagione, non la prima purtroppo.

Paolo Marcacci 
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