(M. Cecchini) – Mettetevi nei panni di James Pallotta. Si siede in poltrona nel suo elegante studio di New York al termine di una settimana che ha visto il riconfermato Obama alla presidenza Usa (e già questo…) pensare all’aumentare dell’1% della tassazione sugli «hedge fund» — cioè sul «core business» del magnate — e invece di potersi rilassare, che cosa gli tocca vedere? La Roma incassare la 21a sconfitta (in 53 gare) della gestione americana, finendo k.o., per la terza volta in 3 derby. Non basta. Deve vedere anche il giocatore più pagato, Daniele De Rossi, perdere la testa, dare un pugno a un avversario (Mauri) e finire fuori a metà gara, indirizzandola verso il baratro. E allora come sorprendersi se alla fine la telefonata ai dirigenti riveli delusione e (forse) voglia di un blitz a Roma insieme all’a.d. Pannes?
Multa & Recidività Non è un caso, perciò, che il d.g. Baldini dica dolente. «La stanchezza c’è, ed è normale quando non ci sono i risultati, Ogni messaggio che vuoi trasmettere è chiaro che si svuota di contenuto». Ma persino l’amarezza di Pallotta passa in secondo piano dinanzi al caso De Rossi. Il centrocampista ha ricevuto il «rosso» diretto per un gancio sinistro a Mauri, e questo gli costerà per la 3a volta la Nazionale (codice etico), una pesante squalifica (forse 3 turni) e una mega multa. A a fine gara Daniele va a scusarsi con Mauri, ricevendo gli elogi sia del collega («è un gesto che gli ha fatto onore»), sia di Lotito («è una persona perbene e pulita»), ma questo non nasconde il momento difficile. Detto che in carriera De Rossi ha già avuto sanzioni pesanti per falli violenti — la gomitata a McBride (Mondiale 2006) e quelle a Srna dello Shakhtar nella (Champions 2011) e a Bentivoglio (Serie A 2011) i casi più eclatanti — è chiaro come il pugno per divincolarsi dalla trattenuta sia la spia di un malessere che va oltre il derby, giocato peraltro nella posizione prediletta (regista). Non a caso, dopo il raddoppio laziale, il labiale di Daniele rivela un suo: «Non è possibile». Dice Baldini: «Lo assolvo, rimane fondamentale: la troppa voglia l’ha reso nervoso. Il mercato? Col senno di poi ammetto che ci sono cose da non dire, ma non abbiamo né la necessità né la volontà di venderlo: ho solo detto che valuteremo le eventuali offerte, perché questo fa parte del lavoro. Ma siamo orgogliosi di averlo». Più severo invece Zeman. «Il gesto è brutto. Bisogna partire dall’inizio però: è stato tenuto per la maglia e purtroppo ha reagito in modo sbagliato, Io lo punzecchio? No, tranne una volta quando l’ho lasciato fuori per motivazioni chiare. Poi ho sempre parlato bene di lui e ho cercato di aiutarlo. Sapeva da una settimana che avrebbe giocato e negli ultimi due giorni gli ho detto che non si deve reagire. Al derby bisogna cercare di tenere i nervi a posto e purtroppo non tutti ci riescono. Se Prandelli segue un codice etico, è giusto non convocarlo».
Caso Pjanic Ma che sia un periodo nero lo certifica anche il caso Pjanic. Il bosniaco segna e libera pesanti insulti nella sua lingua (tradotti via etere da un collega slavo). Tutto lo stadio individua in Zeman il destinatario e lo stesso boemo chiede al vice Cangelosi: «Dice a me?». E l’altro conferma. A fine partita l’ufficio stampa prova a convincerlo a spegnere il caso che monta («sta succedendo un casino»), ma Pjanic non vuole farlo e si allontana. A questo punto c’è chi dice che il bosniaco sia obbligato alla retromarcia, mentre il club specifica che è il giocatore (tramite sms) a rendersi disponibile a un chiarimento al solo canale tematico. «Ho detto qualcosa dopo il gol, ma ero arrabbiato per la situazione. Non mi sarei mai permesso di insultare il mister. Non gioco ma faccio il massimo, forse mi devo adattare». E provare a essere più felice. Ma meglio che non chieda consigli a De Rossi.