(M. Cecchini) – C’è un tempo per sognare una strada ed uno per essere soddisfatti del proprio percorso. A 71 anni,Giovanni Galeone sa guardarsi indietro con l’intelligenza di chi ha camminato con scarpe a volte poco adatte al proprio piede, e forse per questo un pizzico di nostalgia gli sfugge. Stavolta ad esempio, quando s’incontrano quel Pescara, che non ha mai dimenticato, e la Roma, diretta da uno degli allievi prediletti della sua gioventù «tecnica»:Franco Baldini.
Galeone, lei è stato il primo allenatore che l’attuale d.g. giallorosso ha avuto nella sua carriera da professionista. «Esatto, nella Sangiovannese (1979-80, ndr) in C2. Mi portava un olio buonissimo da Reggello, in Toscana. Era il mio pupillo. Intelligentissimo, con grande personalità e carisma anche fuori dal campo, nonostante avesse solo 19 anni. Aveva grande tecnica, gli piaceva il bel gioco. In carriera ha fatto meno di quello che poteva, però poi da dirigente si è tolto tante soddisfazioni».
Eppure a Roma lui e il suo staff hanno ricevuto tante critiche. «Sbagliate. Dopo il k.o. con la Juve ho sentito lui e Sabatini fare autocritica parlando di grinta. Macché grinta: nel calcio serve la tecnica. Barcellona e Bayern non fanno quasi mai fallo eppure vincono sempre. Certo, la Roma in due anni ha speso tanto, ma Baldini e Sabatini sono competenti e hanno comperato giocatori fortissimi. Ma ci pensate? Oltre a un fenomeno come Totti, hanno Lamela, De Rossi, Pjanic, Osvaldo. Mai avuto in carriera giocatori così bravi tutti insieme. Tecnicamente per me sono la prima o la seconda squadra del campionato».
E allora dov’è l’errore? «Be’, forse nel passaggio dal calcio orizzontale di Luis Enrique a quello verticale di Zeman. È come se nel basket passi da Obradovic a D’Antoni: cambia parecchio. E occorre tempo».
Accidenti, qui siamo alla contaminazione sportiva pura. «Chi ama il calcio dovrebbe conoscere il basket. Io ai miei ragazzi lo facevo giocare sempre e ognuno mostrava gli stessi difetti che aveva nel calcio. L’ho detto anche ad Allegri: guarda che la tua difesa a volte dovrebbe studiare il basket. Se hai davanti Larry Bird non puoi andare subito a rimbalzo, devi cercare di non farlo tirare».
Tornando alla Roma? «Vede, tutti noi zonisti siamo stati ispirati da un maestro come Liedholm, ma ad un certo punto io ho pensato: prima provo la verticalizzazione, se poi non mi riesce tento l’aggiramento. Insomma, io ero un po’ un misto tra il boemo e lo spagnolo».
Sentiamo un pizzico di rimpianto nella sua voce… «Lasci perdere. Franco mi ha sempre stimato, ma ormai mi sono ritirato. Se avessi dieci anni di meno… Comunque invece di essere delusi da Baldini, i tifosi dovrebbero esserlo un po’ da Luis Enrique e molto da Zeman. Franco secondo me è più vicino al calcio dello spagnolo. Quello del boemo è il solito, non ha cambiato mai né metodi né tattiche. È spettacolare, ma ormai gli avversari lo conoscono. Ci pensa che l’anno scorso in B ha realizzato 90 gol, ma ne ha subiti 55? Una cifra incredibile, perché in A poi non ti fanno mica segnare così tanto».
Vero, ma sulla carta contro il suo Pescara non ci dovrebbe essere partita. «Sulla carta il Pescara è una vittima sacrificale, ma attenzione a Bergodi, è un tipo sveglio. E poi in serie A ora c’è poca roba, un calcio misero. Perciò penso che la salvezza sia possibile. Dal punto di vista tattico, poi, se il nuovo allenatore sposta più avanti uno bravo come Quintero potrebbe dare qualche fastidio a tutti, anche alla Roma. In panchina, d’altronde, c’è sempre Zeman…».