(A. Catapano) – C’è crisi e crisi. E c’è, soprattutto, modo e modo di guidare la barca nel mare in tempesta. Almeno Luis Enrique ci metteva la scucchia e si prendeva sempre le sue responsabilità.
Avete mai sentito il mago delle Asturie appellarsi agli assenti, agli arbitri, alle condizioni del campo? O tirare in ballo il comportamento di un suo giocatore? Dopo ogni sconfitta, e sì che ne ha subite parecchie, la colpa era soprattutto, se non esclusivamente, sua. Sarà per questo — e magari anche perché sotto la sua gestione sparirono ritiri e doppi allenamenti — che fino all’ultimo la squadra lo appoggiò. E che all’annuncio della sua partenza più di qualcuno ne fu sinceramente dispiaciuto.
Quelle risatine… Quanti invece si strapperebbero i capelli se oggi Zeman, impazzendo, rassegnasse improvvisamente le dimissioni? Valga come risposta quanto accaduto qualche giorno fa a Trigoria, durante l’allenamento (sempre che i riportini abbiano raccontato il giusto): il tecnico boemo ha rimproverato un giocatore davanti ai suoi compagni, piuttosto duramente, e quello, tra le risate generali, gli ha urlato di alzare la voce che altrimenti non lo avrebbe sentito nessuno.
Ora, sarà pure vero che cambiando i fattori il risultato non cambia, e la classifica della Roma sta lì a dimostrarlo, ma tra la crisi di Luis Enrique e la crisi di Zeman c’è un mare di differenze.Prima e dopo Dei rapporti umani dell’asturiano abbiamo detto: per lui i giocatori si sarebbero gettati nel fuoco, anche Totti, col quale l’equivoco fu «soltanto» tattico.
Il capitano romanista non gradiva l’arretramento a centrocampo che Luis Enrique, nei fatti, gli imponeva, eppure non si è mai tirato indietro né ha mai levato la gamba. Altra storia con Zeman. Il boemo gode della stima illimitata di Totti, ha un fedelissimo (Tachtsidis) cui ha affidato il volante della squadra e — gli va riconosciuto — deve aver trovato la chiave per aprire il talento di Lamela.
Ma ha compromesso altri rapporti molto importanti: De Rossi, cui ha sottratto il volante che gli aveva messo in mano Luis Enrique; Pjanic, che ha buttato nello scantinato «perché non sa difendere»; Destro, mai davvero in competizione con Osvaldo e Totti (eppure è costato sedici milioni); Castan, messo e tolto dal campo senza troppe spiegazioni; Stekelenburg, che ora probabilmente verrà riproposto titolare al posto dell’improponibile Goicoechea.
Eppure Un patrimonio tecnico in via di svalutazione, rischio che preoccupa la società anche più della mancanza dei risultati. Le due cose, peraltro, vanno a braccetto: a Zeman la società ha messo a disposizione una rosa più forte e completa di quella con cui ha lavorato Luis Enrique. Ma il boemo di certi giocatori non sa che farsene.