(G. Sanzotta) – Vi ricordate quel tuffo nella fontana di Delio Rossi?Certamente sì. Sicuramente non ci ha fatto piacere. Ma forse ora sarà proprio l’allenatore ex laziale ad essere pentito, il sogno di guidare i giallorossi resterà tale forse anche per quel ridicolo bagno. Ripensandoci a distanza di anni però è più facile comprendere quel gesto. Soprattutto se lo paragoniamo a quei sacrifici compiuti nell’Italia rurale per una grazia ricevuta. Un modo per ringraziare, per manifestare la propria devozione e riconoscenza. Un po’ come quegli studenti che dopo una inattesa promozione vanno a piedi al Divino Amore. Perché, possiamo dircelo i laziali, compresi quelli di passaggio, prima o poi cadono nella sindrome Roma. Dovrebbero studiarla nelle Università. Si manifesta come un incubo, continuo, costante. Tifano Lazio eppure pensano a noi. E la loro rabbia cresce perché a noi di loro importa ben poco. Puntiamo ai nostri risultati, parliamo della nostra squadra. Loro no, il chiodo fisso è la Roma. Sanno tutto dei calciatori, dei dirigenti, dei tifosi. Volete sapere quante volte Totti ha colpito il palo? Chiedetelo a un laziale. E quanti cartellini ha preso De Rossi? Come sopra. I laziali vi risponderanno. Provate ad ascoltare lo loro radio. Parlano di noi. C’è qualcosa di patologico.
Approfittando del cantiere Roma per due anni (ahimè) i biancocelesti sono arrivati prima della Roma, hanno sfiorato la Champions (come mi spiace). E anche adesso sono davanti alla compagine di Zeman. Certamente si tratta di un fenomeno passeggero ma come non goderne? Come non rivendicare una conquistata superiorità? Come non far pesare che, almeno la classifica, dovrebbe indicarli come favoriti? Invece hanno paura, si sentono precari. Non hanno alcuna fiducia, temono che questa periodica e temporanea egemonia possa cadere di colpo.Così la sindrome Roma colpisce. Non dormono e sono in ansia. Spiano la squadra avversaria, ogni gesto, ogni mossa. Sono un po’ come quelle signore che fanno incetta di giornali che parlano di vip, di principi e regine e di persone dello spettacolo. Sanno tutto di loro, dalla taglia, alla misura del reggiseno, amori, tradimenti e malattie. Invidiano vestiti e gioielli. E di loro quanto si occupano? Vince l’invidia anche nei momenti in cui ci sarebbe poco da invidiare. Così sentite dire: poverina, il compagno la tradisce. Solidali e tutto sommato invidiose, perché se a loro mettono le corna non ne dà notizia alcun giornale. I laziali, e lo dico con affetto, sono così. Dovrebbero preoccuparsi un po’ più di casa loro. Magari visti i risultati degli ultimi anni, coltivare un sogno ambizioso, e non solo augurarsi la disgrazia altrui. Del resto cosa volete: una tifoseria che spinge i propri giocatori a perdere (la partita contro l’Inter) pur di far dispetto ai romanisti fa venire in mente quel marito che per fare un dispetto al moglie arriva persino…. Ecco questo è il problema, la sindrome Roma impedisce di crescere, di coltivare sogni ambiziosi. Così il derby di domani si presenta con due stati d’animo diversi.
Noi romanisti non abbiamo questo problema. Semmai domani vogliamo finalmente una conferma della squadra che ha stracciato il Palermo. Certamente il derby è una partita diversa e lo sappiamo. C’è più tensione, l’emozione può fare brutti scherzi. Ma dopo un inizio di campionato altalenante, belle prestazioni seguite da partite inguardabili ci aspettiamo una maggiore continuità, una crescita costante. Perché noi siamo ambiziosi. Domani vogliamo vincere perché il nostro obiettivo è la Champions, cioè il terzo posto. Perché crediamo nella costruzione di una grande squadra. Perché ci aspettiamo una continua crescita. Perché non vogliamo che passino 20 anni per vedere un nuovo scudetto. Sì, la gara di domani facciamola per noi. Tifiamo per noi, per vincere. E se il derby sarà una bellissima partita, ancora meglio. Perché, non dimentichiamolo, questo è sempre calcio, uno spettacolo dove ci mettiamo il cuore. Ma pur sempre uno sport, non una guerra, da seguire con passione e con ironia. Con sfottò e scherzi, senza drammi o violenze. Ora lo dico seriamente: Roma deve dare un esempio di civiltà.