Era già tutto previsto, come cantava Cocciante: per capire come sarebbe andata bastava osservare i volti in Tribuna d’onore: Galliani e figlio con occhio a mezz’asta e a bocca aperta durante un “Roma-Roma-Roma…” vecchie maniere, nella fila soprastante Pallotta e un inedito Zanti a proprio agio nel partecipare sorridenti alla sciarpata iniziale. Non c’è Florenzi nel pacchetto di mezzo, forse è per questo che Bradley comincia subito a correre per due, sbagliando spesso qualcosina in appoggio, fermandosi mai. Timore degli strappi a freddo di El Shaarawy, attenzione per Boateng dichiarato in partenza finto centravanti; si rivelerà più che altro inesistente. Il faraoncino invece lo vedi avventarsi su un corridoio che gli inventa Robinho, lunatico con valigia, poco prima di lasciarsi ipnotizzare da Goicoechea, stasera reattivo come la lingua di un camaleonte che abbia messo l’insetto nel mirino. Allegri non passa molto che diventa una sagoma affilata e stanca, all’interno della propria area tecnica: accade più o meno nello stesso istante in cui Burdisso, denti digrignati e senso dell’onore, si avventa in area per scapocciare (nessun termine rende meglio l’idea) il calcio d’angolo che spiove dalla lunetta tra la Tevere e il Distinto Nord, dopo una parata di Amelia che fa pensare al consueto stato di grazia del portiere avversario come costante della nostra storia. Invece per il Milan è subito la grandine: Totti dimostra a tutti che Babbo Natale esiste, senza barba ma col Dieci sulle spalle, lo scarpino si fa renna e deposita sulla testa di Osvaldo, perfetto nello stacco, il due a zero infiocchettato, scartato dall’urlo dell’Olimpico che indossa l’abito di gala e ha la voce dei bomboni di Capodanno. De Rossi, bentornato: un primo intervento sbagliato poi si torna al compendio delle sue doti: percussione con conclusione finale, trenta metri palla al piede; lancio da play vero per Osvaldo; tiro fintato e apertura chirurgica per il tre a zero del Coco dopo un disimpegno da perizia psichiatrica di Yepes e compagni. Tiene posizione e reparto, fa tesoro di concentrazione ed applausi. Il Milan picchia e traccheggia, punge come la testa di un fiammifero spento pure fino a metà ripresa; diventano quattro le smorfie di Adriano-Lerch in tribuna: la testina di Lamela è ancora miccia per la Sud, il poker di Natale sembra un sequel da consigliare a Pupi Avati, magari con un Abatantuono triste e sconsolato, quindi milanista. Alla fine è un tale rimescolìo di uomini e situazioni che ci scappano il goal obbligatorio di Pazzini, il check out di Robinho, un rosso che toglie a Marquinhos la visita ai presepi di San Gregorio Armeno per la Befana, la firma rispettosa di Bojan per un “over” grosso così da regalare agli scommettitori. Il 2012 va in soffitta con il ghirigoro di un sorriso prestigioso o, se preferite, con la smorfia soddisfatta di Zeman, cui tornano sempre di più conti e prestazioni dei singoli, che se gli si affidano non rimangono mai delusi, come i bambini che hanno fiducia in Babbo Natale, quello col Dieci sulle spalle e con una voglia infinita di farli contenti. Ma non era pigro?
DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci
Auguri ai miei lettori di Gazzettagiallorossa.it
Paolo Marcacci