(M. Macedonio) – Se c’è un uomo al quale non è possibile non richiamarsi quando si parla di Roma-Milan, quello è Nils Liedholm. Due esperienze che lo hanno attraversato a più riprese per la gran parte della sua carriera e ne hanno segnato in modo indelebile la mente e il cuore. Di quegli anni, vissuti tra la Capitale e la città lombarda, ne parliamo con il figlio Carlo, che dal padre, oltre alla passione per il calcio, ha ereditato quella per i vini del Monferrato, dove ha sede – accanto alla loro casa, Villa Boemia a Cuccaro – l’azienda vitinicola della famiglia Liedholm.
Anche per lui, un sentimento diviso a metà, tra i colori giallorossi e quelli rossoneri.
«Diciamo che il mio cuore era sempre dalla parte di mio padre. E quando lui è stato alla Roma, il mio cuore era lì, così come quando è stato al Milan, lo era per l’altra squadra. Sono indubbiamente le due squadre che più hanno segnato la sua vita e alle quali era più legato. Al Milan ha collezionato anni, perché ai dodici da calciatore ne aggiunse nove da allenatore: cinque all’inizio, poi due negli anni 70 e ancora due quando vi ritornò nell’84. Anche alla Roma ne ha fatti parecchi, perché pur non avendovi giocato, vi è rimasto almeno dodici-tredici anni tra quelli trascorsi come allenatore e quelli come consigliere, nelle ultime stagioni».
Come venivano vissute, in casa, quelle sfide?
«Vere e proprie sfide, in realtà, non ci sono quasi mai state. Nel senso che difficilmente si sono affrontate su una posizione di parità, ovvero come dirette concorrenti in classifica. Perché ci sono state stagioni in cui la Roma era nettamente superiore, e penso ai primi anni 80, quando il Milan retrocesse un paio di volte in serie B, e altre in cui i due piani, invece, si ribaltavano. E forse è stata una fortuna, per mio padre, che non vi sia mai stata, anche quando giocava, una situazione di vero e proprio “scontro” diretto tra le due squadre».[…]
Parlavamo delle sfide, mai veramente tali, tra Roma e Milan.
«E’ così. Basti dire che mio padre, amava anche portarsi dei giocatori da una squadra all’altra. Lo fece con il povero Aldo Maldera, quando venne a Roma, così come volle Agostino a Milano. Pierino Prati lo trovò invece già a Roma, dopo averlo avuto come allievo al Milan quando aveva 14 anni».
Un legame, quello con Roma, testimoniato dal ritorno sia come allenatore che in altra veste. «Non appena gli è stato possibile, ci è tornato. Anche come consigliere. Lo era stato anche per Viola, al quale suggerì proprio di prendere Eriksson, perché lo conosceva e, anche se praticava un calcio molto diverso dal suo, meritava fiducia per le idee innovative».
So che anche lei fu a sua volta consigliere di suo padre.
«In realtà non voglio prendermi meriti non miei, anche se avevo fatto la scuola di Coverciano come manager, perché mi appassionava. Mio padre voleva che vedessi con lui le cassette di tanti giocatori. Fu così che scoprimmo, tra quelle che venivano dal Sudamerica, Paulo Roberto Falcao, un campione che sarebbe stato amato tantissimo a Roma. Ma allo stesso modo, vidi e gli consigliai Carlo Ancelotti». Veniamo a questo Roma-Milan di sabato prossimo. «Credo che come organico, la Roma è una grande squadra. Ha giocatori dalla qualità eccezionale. Il Milan sta facendo molto bene, ma, tolti due o tre giocatori di livello superiore, tra cui El Shaarawi, non penso che per il resto possa dirsi all’altezza della Roma. Penso che un attacco con Lamela, Osvaldo e Destro sia straordinario. Per non parlare di Totti, che non vedevo in queste condizioni forse da sette-otto anni. E aggiungo che una coppia come quella formata da Marquinhos e Castan sia destinata a diventare una delle più forti al mondo».
Mi sembra che la segua con grande attenzione.
«Vedo tutte le partite della Roma. Anche perché ho due figli, uno tifoso rossonero e uno giallorosso. Evidentemente era destino: uno si è appassionato al Milan, l’altro alla Roma».