(T. Cagnucci) – Si sente “Su di noi” all’Olimpico quando entra in campo la Roma per il riscaldamento. Un po’ fa ride, e un po’ non si può cantare che “su di noi nemmeno una nuvola” in questo Roma-Atalanta liscio liscio 3-0: ci sono una gomitata e un arbitro di troppo. E se l’arbitraggio di Russo è fuori tempo massimo, nel senso che avrebbe dovuto smettere di arbitrare dopo la partita di Brescia di un paio di anni fa, il gesto di Osvaldo non si può giustificare, tanto più che stavi vincendo, stravincendo e sei dove dovresti stare (nei tuoi quarti di nobiltà, di una coppa che è tua per storia e sentimento). Perché non è la prima volta, perché anche Lamela è squalificato in coppa e perché è impossibile trovare un senso a un gesto che un senso non ce l’ha se non in pose rock che non servono a nessuno, tantomeno a lui che è un attaccante livello Rolling Stones per davvero.
Si sente “Su di noi” all’Olimpico quando entra in campo la Roma, un po’ fa ride e un po’ si può cantare che la “Roma è una favola”: quinta vittoria consecutiva contro una squadra che in campionato ci aveva fatto soffrire e che in questa coppa ci ha buttato fuori sempre una volta di troppo. Con due pupi in campo (oltre a quello nell’altoparlante) come Lopez e Romagnoli, in 50’ con una prova semplice, lineare e per certi versi esemplare (almeno per un tempo, il tempo di giocare). Dall’Atalanta incontrata a ottobre all’Atalanta incontrata ieri, la Roma ha vinto 8 partite su 11, segnato 29 gol, trovato gioco e praticamente tutti i suoi giocatori, in particolare quello che ancora deve più di tutti ritrovare. Non è un paradosso, né un gioco di parole: Daniele De Rossi. Proprio con l’Atalanta venne escluso e bacchettato da Zeman, con l’Atalanta ieri ha ritrovato il posto e una fascia da Capitano.
C’è qualcosa di enormemente simbolico in questo Atalanta e ritorno di un centrocampista che se si “affiata tatticamente” diventa quello che porta la Roma al largo (lui è il mare o no?). Alla faccia di tutti quelli che lo stanno bocciando, triturando, dimenticando, strumentalizzando. D’altronde in questa piazza fino a praticamente all’altro ieri (è appena appena un modo di dire, guardate i commenti fino all’intervallo della partita di Siena) era diventato un dato scontato che Pjanic non era zemaniano, non poteva giocare, non era proprio un giocatore, magari era un vero e proprio impostore.
Invece Pjanic è un giocatore totale, Pjanic quando gioca e tocca (roba da Cyrano) è come il prosciutto di Verdone: “un zucchero”. Di più dolce c’è solo un’altra cosa. Perché oltre il 3-0, la qualificazione, le gomitate, le fasce, le vittorie, le promesse, le sperimentazioni, il dato di ieri è esclusivamente un altro. Quello dei paganti: 9.769. Loro sono la prova e la speranza che un altro mondo è possibile. Ma proprio un altro da quello dello spread, delle banche, del profitto, delle discoteche, dei tronisti, delle speculazioni. 9.769 persone a 2 gradi e con la Roma in televisione dovrebbero costituire il prossimo Parlamento della Repubblica. 9.769 persone (quelle 9.769 persone) a Roma-Atalanta martedì sera sono una canzone. Su di loro nemmeno una nuvola, l’amore è una favola.