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IL TEMPO Attacco al potere

Zeman in conferenza stampa

(A. Austini) – Zeman anticipa i botti di fine anno.A Verona si è tenuto dentro la rabbia per gli errori arbitrali fatali alla Roma, ma alla vigilia della gara col Milan esplode. E fa rumore. Il boemo sceglie di preparare l’ultimo impegno del 2012 attaccando il potere, di cui il Diavolo è uno dei massimi rappresentanti. «Col Chievo per me non è stata una sconfitta- spiega Zeman – tutti hanno visto. Dopo le partite si può notare cosa è successo e a chi: noi non abbiamo avuto quello che ci spettava».

Per Zeman è una battaglia antica e mai come adesso è giusto continuarla. «Non lo prendo come un attacco a me, è che la Roma disturba tanto: non è inserita nel giro delle squadre che hanno più peso politico. Noi dobbiamo lavorare meglio degli altri sul campo per fare i risultati, solo così poi ti conquisti quel posto fuori. Gli arbitri possono fischiarti due-tre cose contro, ma se poi fai cinque gol…». È proprio questo il pensiero comune a Trigoria: la Roma sembra condannata a dover sempre strafare per vincere. Così Sdengo non smette di inviare messaggi al Palazzo, ironizzando anche sulla spostamento a Parma di Cagliari-Juventus di ieri. «Deve decidere la federazione, se continua così vuol dire che il campionato è regolare». Il bersaglio del boemo si allarga. Gli chiedono in quale campo abbia fatto meglio Berlusconi e lui non ha dubbi. «Essendo io un uomo di calcio, mi viene in mente prima come presidente del Milan. Comunque dal mio punto di vista penso abbia fatto meglio nel calcio».

Sistemati i «nemici» a tutti i livelli, c’è spazio per parlare della Roma. L’arrivo di Pallotta e del nuovo CEO Zanzi, presente ieri in sala stampa per «spiare» la conferenza, ha portato nuovo entusiasmo. «Siamo contenti – riconosce l’allenatore – la proprietà si è fatta vedere, ha partecipato e ha seguito tutti gli allenamenti: ci ha dato qualcosa di positivo. Pallotta vuole la Champions? La Roma è una grande società e ha dei traguardi, speriamo che lavorando tutti insieme si riescano ad ottenere. Io non mi sento sotto pressione, siamo sette squadre per ora leggermente avvantaggiate, si cercherà di superarsi una sull’altra. Non so se sia favorito chi parte da dietro come noi, purtroppo non è ciclismo…». Al gran premio della montagna di oggi c’è un osso duro da battere allo sprint. «A parte il periodo buono che sta attraversando, è sempre il Milan. Ha perso Ibrahimovic ma lo ha sostituito col capocannoniere del campionato. È una partita importante, però non la ritengo decisiva». Un esame durissimo sì, e Zeman vuole superare con una squadra votata all’attacco: Lamela nel tridente e Pjanic a centrocampo. «All’inizio dell’anno eravamo sbilanciati con il bosniaco e Totti vicini, quindi bisogna mettere due centrocampisti più difensivi. Se Pjanic sta a destra, il problema non c’è perché Lamela è più mobile rispetto al capitano». Quei due «centrocampisti più difensivi», sulla carta, dovrebbero essere De Rossi e Bradley perché «Florenzi fa meglio la fase offensiva, De Rossi può giocare da mediano centrale anche se rispetto a Tachtsidis ha compiti più difensivi».

Sul numero 1 ormai le gerarchie sembrano definite. Zeman spiega perché preferisce Goicoechea: «Per me è importante che un portiere sia bravo a partecipare, a guidare in modo attivo la difesa, non deve essere un singolo che fa reparto a sé». Con questi chiari di luna, Stekelenburg è destinato a partire già a gennaio. «Ma almeno io – specifica il tecnico – di mercato non ho ancora parlato con la società e non ho richieste specifiche. Tutto si può migliorare». Un prossimo acquisto per lo staff dovrebbe essere Zago. «Ha chiesto se può venire ad aiutarci – conferma Zeman – se ne parlerà, ci sono delle valutazioni da fare». Fine anno, tempo di bilanci. «Sarei stato più contento se avessimo quei 10 punti in più che abbiamo buttato». Il mondo, però, non è finito ieri e tutto si può aggiustare. Se invece avessero avuto ragione i Maya «tornando indietro – assicura Zeman – non cambierei niente dei concetti della mia carriera. Poi gli errori sono parte della vita normale». Ma il calcio ne perdona pochi.

 

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