(L.Valdiserri) – Per usare una terminologia politica il primo governo Zeman è crollato: non ha più la fiducia in Parlamento. Nelle prossime ore si valuterà se esiste una possibilità, remota, di dar vita a uno«Zeman 2», dentro il quale, però, il peso dei ministeri principali sarà completamente diverso da prima. Tornando al calcio—e alla vita quotidiana, di cui il calcio è la più importante delle cose futili —si può dire che Zdenek Zeman resterà sulla panchina della Roma solo se accetterà di non essere più lo Zeman che non deve spiegare mai.
Il direttore sportivo Walter Sabatini— dopo la presentazione di Vasilis Torosidis, catapultato suo malgrado nello psicodramma giallorosso — ieri ha usato una frase mai sentita nel mondo del pallone: «Siamo arrivati a una situazione di poca soddisfazione per i risultati prodotti e su questo rifletteremo. È una fase di studio che contempla, anche se marginalmente, l’idea di potere cambiare l’allenatore ». Di allenatori cacciati dalla sera alla mattina è pieno il mondo. Lo stesso si può dire di allenatori che potevano essere cacciati e invece sono stati tenuti (e magari poi hanno fatto bene). Di allenatori «avvisati » pubblicamente della possibilità dell’esonero, invece, non se ne aveva traccia. Fino a ieri pomeriggio. Significa che Zeman è già fuori dalla Roma? Non esattamente. Sabatini parla di una specie di ultima possibilità:«Basterebbe molto poco per sospendere una decisione o cambiarla. Magari vedere l’allenatore relazionarsi in una certa maniera con alcuni della squadra o tutta la squadra. Vedere con quale intensità sarà fatto l’allenamento di domani (oggi per chi legge; ndr), con quale furore saranno interpretati i suoi dettami ».
Non c’è più rapporto tra Zeman e una parte consistente della squadra, che non capisce le sue scelte: perché Goicoechea e non Stekelenburg; perché difendere sempre a spada tratta Tachtsidis e aver ridotto De Rossi a una riserva; perché Osvaldo è uno che può anche allenarsi poco; perché allenamenti uguali per tutti ma non proprio per tutti. I risultati (ottavo posto, dietro anche al Catania; nove punti di distacco dal terzo posto; derby perso; umiliazione a Torino contro la Juve) non hanno dato forza alle scelte dell’allenatore e, soprattutto, la squadra si sente indifesa dalle sue accuse di poca professionalità e di mancanza di concentrazione. Una colpa «astratta», non quantificabile, legata solamente alla mentalità sbagliata dei giocatori e mai, ad esempio, da errori ascrivibili al tecnico. È quello che, con una frase molto forte, Sabatini ha descritto così: «Certi modi di porsi sono normali per Zeman, ma non sono avvertiti come tali da alcuni giocatori. Per risolvere alcuni rapporti cancerogeni può bastare poco, anche un modo diverso di relazionarsi». Oggi ci sarà un incontro tra Zeman, Baldini e Sabatini nel quale sarà chiesto al tecnico di adeguarsi a una situazione cambiata. Zeman doveva essere un gradino della scala per la costruzione di una grande Roma e, in parte, c’è riuscito: ha lanciato Marquinhos, ha valorizzato Lamela, sta gestendo al meglio la fase finale della carriera di Totti.
Ma non basta. È disposto a restare cambiando il suo metodo e magari, se sarà necessario, anche il suo modulo? Il «bene» della Roma deve essere al di sopra di tutto. E deve essere un bene condiviso e compreso dal gruppo, non una legge calata dall’alto senza spiegazioni. In caso di rottura, il primo nome è Laurent Blanc, ex c.t. della Francia. In seconda fila Frankie Rijkaard. Più difficile la scelta interna di un «traghettatore »: Zago o Panucci accompagnati da Andreazzoli, lo storico secondo dell’epoca di Spalletti.