(M.Iaria) Primo: il regolamento parla chiaro. Secondo: è stato liberamente sottoscritto dalle 20 società di A. Terzo, ma non ultimo: se quella norma esiste una ragione ci sarà.
Ed è la stessa ragione per cui il calcio italiano, più di altri, è strozzato tra le maglie di un calendario senza respiro (di riduzione a 18 guai a parlarne) e le esigenze delle tv a cui i club si sono venduti, salvo poi — a turno — lamentarsi di un campo invertito, di un terreno gelato, di un programma spalmato. Dai quarti di finale di Coppa, se due squadre con lo stesso stadio hanno «concomitanza di gare dei quarti» (non di giorni), quella meglio classificata gioca in casa e l’altra va in trasferta.
È un automatismo che scatta a monte, non dopo. Perché? Semplice, per non avere lacci e lacciuoli quando poi bisogna incastrare tutti gli impegni e soprattutto per dare piena libertà alla Rai, che ha appena raddoppiato l’esborso per la Coppa (da 11 a 20,5 milioni annui), di costruire i palinsesti come meglio crede.