(M. Iaria) – Non è un Paese per vecchi, si dice da un po’ di tempo dell’Italia. E del calcio italiano. Il coraggio di Prandelli e la crisi economica, però, stanno rompendo, seppur a fatica, questo cliché. Da Balotelli a Verratti, da El Shaarawy a Borini, da Destro a Insigne, sono tanti i giovani che dal post-fallimento in Sudafrica hanno fatto il loro debutto nella nazionale maggiore. In Serie A è in crescita l’utilizzo degli Under 21: l’incidenza sul totale dei giocatori schierati è passata dal 10,8% del 2011-12 al 13,8% di quest’anno. Eppure non si può ancora parlare di una seria inversione di tendenza, «almeno finché non si investirà maggiormente negli impianti e negli allenatori dei settori giovanili». Parola di Arrigo Sacchi, chiamato dalla Federazione nell’estate 2010, all’indomani del fiasco mondiale, per ricoprire il ruolo di coordinatore delle nazionali giovanili. Un lavoro, in tandem con Demetrio Albertini responsabile del Club Italia, che ha cominciato a dare i suoi frutti. Ma c’è ancora molto da fare.
Quali sono state le direttrici della sua esperienza in Figc?
«Stiamo facendo molte partite internazionali per fare acquisire una mentalità internazionale ai ragazzi delle rappresentative. Abbiamo creato l’Under 15 e giocato tra U15 e U17 un centinaio di match, che rappresentano uno sforzo importante per la Federazione visto che ogni gara ci costa circa 50mila euro. Vediamo ogni fine settimana tra le 40 e le 50 partite con uno staff di tecnici e osservatori. Ma soprattutto abbiamo dato un protocollo di gioco alle nostre nazionali».
Come fa il Barcellona, dalla cantera alla prima squadra.
«Il modello è il calcio totale che predilige il c.t. Prandelli, siamo convinti che sia il calcio dell’oggi e del domani. In Europa si pratica un calcio più aggressivo che in Italia, dove tutti partecipano: nell’era della globalità si immagini se è possibile restare fermi alla specializzazione dei ruoli. È ciò che dovrebbero fare pure le società: c’è uno stile, andiamo a prendere i giocatori e li alleniamo per quello stile di gioco. Lo fa la Germania, lo fa la Francia, in Italia è una cosa inusuale. Di solito si ingaggiano gli allenatori più disparati a scapito della continuità di insegnamento».
Risultati?
«Ci siamo qualificati alla fase finale dell’Europeo Under 21 giocando bene, ora lottiamo per lo stesso traguardo con Under 17 e 19. Ma quel che conta per noi è la formazione dei giocatori. Grazie anche alla lungimiranza di Prandelli siamo riusciti a portare in due anni nella nazionale maggiore giovani che giocavano in Lega Pro o in Primavera. Sono stati valorizzati talenti come Insigne, Florenzi, El Shaarawy, Destro, Borini, Gabbiadini. Si punta sul gioco e sull’etica del gruppo. L’impegno, la generosità, il rispetto devono essere massimi, altrimenti può capitare di restare fuori per un paio di mesi».
I giovani stanno avendo più spazio nei club ma ha notato una maggiore sensibilità da parte delle società sul tema dei vivai?
«Stiamo cercando di coinvolgere di più i club. La Juventus ci ha dato soddisfazione creando la prima accademia in Italia, anche la Reggina si è mossa in questa direzione e la Fiorentina ha annunciato la nascita di un liceo. Nelle accademie i ragazzi possono lavorare fino a 20 ore a settimana contro le 4-6 dei sistemi tradizionali. Il vantaggio in termini di didattica calcistica è enorme. Partiamo svantaggiati perché in Germania, Francia, Inghilterra, Austria, Svizzera le accademie sono obbligatorie per i club».
C’è anche un problema di preparazione dei tecnici.
«Vero. Abbiamo bisogno di ampliare le loro conoscenze, a cominciare dalla base. Oggi la maggior parte dei giovani viene prelevata dalla A e dalla B, qualcuno dalla Lega Pro. Stiamo studiando qualcosa per valorizzare il pianeta dilettanti. Se vogliamo evolverci, dobbiamo investire di più nei settori giovani, dobbiamo selezionare maestri e non l’amico dell’amico o l’ex giocatore che ha già un contratto, dobbiamo dare una correlazione chiara agli insegnamenti evitando la filosofia del giocare per vincere».
Allegri ha proposto la separazione dei corsi a Coverciano tra chi allena le giovanili e chi guida le prime squadre. D’accordo?
«Sì. Quando la Francia si inventò i centre de formation, Italo Allodi obbligò tutti i club ad avere un responsabile tecnico che avesse completato il Supercorso di Coverciano riservato ai settori giovanili. Partecipammo io, Zeman, Mondonico e altri, ma dopo 3-4 anni siamo passati tutti nelle prime squadre. Dovremmo tornare a quell’istituto perché serve la specializzazione. E sarebbe utile dare più soldi al settore tecnico affinché si facciano più corsi per migliorare i nostri insegnanti».