(A. Pugliese) – Se è vero che la sconfitta di Napoli complica i piani per la Champions League, è anche vero che al San Paolo la Roma ha detto addio anche alle ultime residue speranze legate al sogno-scudetto. Ammesso che ancora ce ne fossero. Del resto, il girone di andata (conclusosi proprio domenica scorsa al San Paolo) è stato molto chiaro: la Roma, contro la Juventus e le sue principali inseguitrici (oggi, in base alla classifica, Lazio e Napoli) ha sempre perso, due volte su tre anche male.Ma quelle sconfitte, distribuite lungo il girone di andata, hanno avuto sviluppi diversi.
Genesi diverse Insomma, dalla sconfitta di Napoli c’è comunque da trarre qualcosa, cosa di cui invece non c’era stata traccia a Torino (nel pesantissimo 4-1 con la Juventus) e si era appena intravista con la Lazio. Con i bianconeri, infatti, il 29 settembre (6a giornata) fu un disastro totale, un tracollo senza precedenti, con la Juventus che aveva già chiuso il conto (3-0) dopo appena 19 minuti di gioco. «Non siamo da scudetto, chi ne parla fa del male alla Roma. Pentito di essere rimasto a Roma? No, ma non sono rimasto per fare certe figuracce», fu la presa di posizione di De Rossi alla fine della sfida dello Juventus Stadium. Fu l’inizio della fine dei rapporti tra il centrocampista di Ostia ed il tecnico boemo, che proprio alla vigilia dell’attesa sfida con i bianconeri aveva appunto detto che «la Roma deve credere nello scudetto e se la può e se la deve giocare con tutti».
In piscina Le ferite di Torino furono profonde, tanto che la Sud nella partita successiva, contro l’Atalante, espose così il suo pensiero: «La maglia è onorata solo se sudata, da oggi chi tradisce è meglio se sparisce. Questa curva merita rispetto». Con l’Atalanta si vinse, prima di una serie di partite che sembravano poter rilanciare i giallorossi verso l’alto (e dove invece le incredibili sconfitte con Udinese e Parma li hanno tenuti nel limbo). Poi è arrivato il derby, l’altra partita della vita per la gente giallorossa. Era l’11 novembre, la 12a giornata, e la Roma era già a -9 dal terzo posto (e quindi dalla Champions), occupato all’epoca — proprio come oggi — dal Napoli. Il k.o. per 3-2 con i cugini biancocelesti riaprì il mondo giallorosso alle polemiche: la sconfitta fu meno eclatante di quella di Torino, ma le ferite furono lo stesso laceranti. «A un certo sembrava un piscina, con tutta quell’acqua la squadra dopo 20 minuti ha smesso di giocare — si è giustificato Zeman — È un derby che abbiamo perso più per sfortuna che per la superiorità degli avversari». Al di là delle eventuali scusanti, la Roma per 20 minuti aveva giocato effettivamente bene, dimostrando poi orgoglio anche nel finale. Il derby, però, ha segnato una linea di confine: «Da oggi non si sbaglia più».
Maggiore fiducia E infatti, da allora la Roma ha infilato sei vittorie in sette gare (Coppa Italia inclusa, con l’unico k.o. di Verona), tornando a guardare alla Champions. Fino a domenica, quando a Napoli i sogni di gloria hanno subito una netta frenata. Stavolta, però, la sconfitta (seppur pesante) ha lasciato meno amaro in bocca (o forse di più, dipende dai punti di vita), perché la squadra ha giocato oggettivamente meglio degli avversari, costruendo una montagna di occasioni «Un passo indietro come risultato, ma non come prestazione», ha detto alla fine Zeman. Ha ragione lui, ma da Catania siamo di nuovo come prima: vietato sbagliare, se non si vuole rinunciare anche al sogno-Champions.