(P.Liguori) – Non sappiamo se l’uomo è verticale o orizzontale. Difficile definirlo. Di certo, Zeman è trasparente, onesto, coraggioso. Parla poco e per questo non piace ai giornalisti, che alla fine preferiscono quelli come Mourinho. Però dice sempre cose nette, decise come il suo gioco d’attacco. Ora, alla vigilia di Bologna-Roma, ha sollevato un problema grande come un macigno che la Roma si tira dietro da due anni. In società mancano regole certe che permettano ad un allenatore come lui di lavorare bene.
Per un motivo o per un altro, non riesce ad allenare come vorrebbe 22 giocatori insieme. Una volta è il campo di Trigoria, un’altra gli affaticamenti, una volta manca uno, poi un altro. Così le sue mitiche e temute doppie sedute collettive non si vedono da prima di Natale. Adesso ci sarà sicuramente qualche genio pronto a sostenere che si tratta di un alibi, per i risultati poco brillanti. Invece le cose stanno proprio così. L’assenza di un proprietario fisicamente presente, la duplicazione dei ruoli tecnici e dirigenziali creano una situazione confusa.
In passato è toccato a De Rossi e Osvaldo un secco rimprovero, adesso è Stekelenburg che straparla. O la società risponde in fretta e in modo convincente, oppure l’allenatore rischia che la squadra risponda con una prova negativa, già oggi a Bologna. Non si tratta di aggiungere una “gufata” alle migliaia già sentite contro Zeman, è pura esperienza dell’ambiente del calcio. Se i giocatori si sottraggono alla fatica approfittando della mancanza di regole, saranno i primi a far affondare la barca. Se invece ci credono, daranno tutto per vincere e andare avanti.