(E.Sisti) – Vince la Roma ma l’Inter torna a casa rincuorata e ottimista per due ragioni: perché ormai è chiaro che i giallorossi giocano solo un tempo e perché a San Siro, fra 84 giorni, il 17 aprile, le basterà vincere 1-0.
Stramaccioni mette un centrocampista in più variando qualche interprete per il 3-4-2-1. Zeman mette Stekelenburg in porta (e forse se n’è già pentito). Ma cambi a parte, il match di domenica è troppo vicino perché il copione non sia più o meno lo stesso (e così sarà). Le squadre si conoscono, qualcuno non ha ancora smesso di sudare da domenica quindi le marcature si potrebbero fare anche a odore, a occhi chiusi.
La Roma parte garibaldina ma incontra ostacoli insormontabili nei neuroni di Lamela che per due volte si nega da solo il gol (una volta colpisce in pieno Ranocchia sulla linea di porta). Escludendo Lamela dall’azione, riesce ad andare in vantaggio con Florenzi che sfrutta l’ottimo cross di Piris e la folle marcatura
di Ranocchia, che gli si accuccia dietro. Esattamente come domenica, un palo (di Guarin al 17’) potrebbe rianimare l’Inter dopo il gol subito. Ma stavolta è un palo fasullo, senza immediate facoltà rigeneranti. Le solite fasce sguarnite della difesa a tre rendono l’Inter vulnerabile e appetitosa, soprattutto per Piris e Florenzi. Sempre Ranocchia non pensa che Destro possa colpire di testa da quella posizione (33’) e soprattutto che riesca a farlo con precisione, con una maligna torsione del collo, degna di Roberto Pruzzo: 2-0. L’Inter si manifesta solo con Guarin, qualche volta con Cambiasso. Essendo tremolante può contare su stessa soltanto con i tiri da fermo. E proprio così scopre che Stekelenburg è capace di tuffarsi a terra con la lentezza di un signore di 65 anni che non ha mai fatto sport in vita sua. Per Palacio anticiparlo è quasi un atto dovuto (44’): 2-1.
Com’è sua abitudine nel secondo tempo la Roma entra nelle sue Termopili, si sente schiacciata da muri di roccia immaginari, si allunga, si confonde, non riesce più a respirare, i suoi perdono distanze e forza nei piedi. È la sua ineludibile natura: bell’esempio di buon calcio contemporaneo per 20 minuti, esibizione di calcio estemporaneo per quel che resta. Al posto del possesso palla subentra una richiesta d’aiuto al compagno più vicino, non importa se libero o marcato. Compaiono lanci esoterici. Come domenica, l’Inter tenta la risalita improvvisando ripartenze. Ma non c’è fretta: tutto sommato questo 2-1 può anche andar bene. Continuano le analogie con l’altra partita.Totti sbaglia un gol tirando dalla stessa posizione dalla quale domenica lo sbagliò Piris. Quindi è più grave. Un’oscena respinta corta di Piris consegna a Palacio il 2-2 a sei metri dalla porta. Non succede niente perché Palacio è reattivo come un palo della luce: ma molto meno lucido (22’). Dieci minuti dopo Balzaretti sta per regalare il 2-2 ad Alvarez (entrato per Pereira). Come domenica lo spettacolo tende al brutto, ma di brutto. Dal 35’ la Roma allestisce l’ultimo spettacolo: la perdita insensata di palloni nella sua trequarti. Come l’Inter non sia riuscita a pareggiare in questi frangenti, sempre in superiorità numerica, rimarrà un mistero. Ma c’è poco da stupirsi. Siamo in perfetta linea con il livello complessivo di queste due squadre che come domenica si sono ritrovate, e specchiate, nella loro piccolezza.