Cominciamo col dire che alcune leggerezze difensive della Roma vista a Bergamo hanno fatto arrossire non solo il pallone; a proposito di amnesie di qualche giocatore oggi non si ricorda alcunché di significativo: attraverso qualche primo piano scopriamo dopo circa mezz’ora che Osvaldo e Lamela sono in campo, ad esempio. In generale, maglie bianche e cristalli di neve si sovrappongono, in senso cromatico, in modo tale che la squadra appaia anche più opaca di quanto non sia in realtà. I fondamentali, per chi non si addormenta sotto le coltri, fanno la differenza anche a zero gradi fra le valli bergamasche: la punizione di Pjanic, ad esempio, fa tanto Copacabana anche quando il perimetro dell’area non si distingue più dal resto. Nessun fiocco di neve, ci hanno insegnato, è uguale a nessun altro e così oggi ogni intervento di Stekelenburg, quando serve e in due occasioni, una per tempo, evita che noi si resti di ghiaccio dopo altrettante incursioni orobiche (nella prima, complice un alleggerimento di testa all’indietro di uno svagato Burdisso). Simone Perrotta sotto la neve e Consigli che prova a schiaffeggiare la traiettoria inventata dalla testa di Torosidis, quasi incredula di se stessa: due istantanee dell’ insperato secondo tempo che spiegano quanto la Roma poggi le sue basi sul carattere di quelli che in questo momento stanno puntellando la baracca, chiamiamola così per rendere l’idea di fondamenta un po’ posticce. Nel pomeriggio più bianco che verde, con il finale nervoso di chi non tiene le manine a posto come Contini, la Roma mette tre punti nella termocoperta, strappandoli dalle mani nodose dei valligiani che scendono a Bèrghem solo per la Dea e aspettando chi oggi non c’era: non solo Totti e De Rossi, per capirci. Finisce tra abbracci e palle di neve, con la classifica che si muove più del termometro e coi cambi di Andreazzoli che acquisiscono più senso in virtù del due a tre. Che altro? Ah, si: chi vi ha ricordato Marquinho in occasione del goal di sinistro?
Paolo Marcacci