(A. Pugliese) – Quando a dicembre del 2011 è stato condannato a 8 anni, 8 mesi e 15 giorni per associazione e delinquere per traffico internazionale di stupefacenti, Michele Padovano ha reagito così: «Ho fiducia nella giustizia, aspetto l’appello. Ora voglio solo tornare a lavorare nel mio ambiente. È difficile, per i miei amici del calcio è come se avessi la lebbra. Certe cose ti logorano dentro, ma non mollo per me e per la mia famiglia». Quella porta di servizio nel calcio Padovano la cerca nella Roma (dopo aver provato per due volte con la Reggiana), ora tramite lo sceicco Al Qaddumi.
CHI E’ Guai con la giustizia a parte (non poco), Padovano non ha il profilo «ideale» per entrare nel cuore della tifoseria giallorossa, non fosse altro per i suoi trascorsi nella Juventus di Lippi (con cui vinse scudetto, Champions ed Intercontinentale) e la sua amicizia (e stima) per Luciano Moggi. «Il Direttore era il numero uno, il migliore in un mondo di squali», è il pensiero dell’ex attaccante bianconero. Quello del pm Giovanni Cotillo, invece, è che Padovano abbia finanziato a lungo il traffico di droga (dal Marocco, via Spagna) gestito da Luca Mosole (amico di infanzia, condannato a 15 anni di carcere). «Siamo cresciuti insieme, io nel calcio e lui nella cronaca nera, ma per me conta l’amicizia — ha detto Padovano —. Gli ho prestato dei soldi per una cavalla, sono stato ingenuo». Non la pensa così Alfredo Iuliano, padre di Mark, che dopo la condanna lo definì «un trovatello cresciuto in orfanotrofio, un cancro da espiare che forniva la droga a mio figlio, Vialli e Bachini». Papà Iuliano, però, non finì qui: lo tirò in ballo pure per la morte di Bergamini, suo amico al Cosenza, su cui Padovano rivelò cose nuove solo dopo le verità del libro di Petrini.