La piazza di Roma si sa, é energica, passionale, al punto tale da spingersi a gesti forti, laddove la negazione del piacere sublima l’amore per un idea, un credo od un semplice ideale. Così se l’avventura sportiva di Zdenek Zeman si é chiusa prematuramente – per colpe anche sue, ascrivibili a quella convinzione maturata negli anni, verso un dogma, il 4-3-3, necessitante di interpreti funzionali, nel computo del quale sovente il lato atletico sovrasta quello tecnico – l’aura che il maestro si porta dietro non potrà mai essere desacralizzata neanche da un insuccesso, forse il più doloroso, culminato con il tradimento nella gara contro il Cagliari. Mentre calciatori e dirigenti si accalcavano a dare il benservito al boemo, con il placet di una larga parte della tifoseria, c’é anche chi invece ha scelto di andare in controtendenza, credendo nell’amore vero, forse illusione foscoliana che aiuta a viver meglio, o magari semplice manierismo romantico, stile Sturm un Drang, tempesta e passione: un amore che trova la sua massima espressione nella privazione, generante sofferenza. Vi è quel momento nel quale si è cosi ancorati a dei valori, da compiere un’azione a tratti folle, irrazionale, dannatamente vera, preminentemente romana: consegnare le armi, rimettere il mandato.
Già nel calcio moderno tutta tattica e contropiede, sponsor, business, c’è ancora spazio per quella genuinità che da sempre appartiene alla romanità. Il boemo oggi in quel di Trigoria per congedarsi, probabilmente con molta più signorilità dei congedanti, fuori ai cancelli del Fulvio Bernardini un nutrito gruppo di supporters, non per contestare, inveire o sfogarsi sul parafulmine designato implicitamente dall’inizio della stagione, reo di aver anteposto l’amore al raziocinio, accettando un nucleo di mezzi calciatori inadatti al suo modo di fare calcio. Forse un pò immaturi, certamente poco inclini al sacrificio, contrariamente a quel ragazzo di 36 anni che seguendone pedissequamente la dottrina atletica riesce ancora, alla sua veneranda età( per un calciatore) ad esprimersi su livelli eccellenti, arando il campo con la facilità di corsa di un ventenne sfrontato, tirando avanti la carretta, scrivendo poesia con i piedi, tirato a lucido nel fisico, a testimonianza che chi segue Zeman è restituito a nuova vita. Quella gente, in loco per esternare tutti i malumori di un ambiente sbigottito dal susseguirsi degli eventi negli ultimi due anni, ne aveva per tutti, escluso lui, il boemo salutato invece con grandissimo affetto. Tra questi, uno di loro, più deciso che mai – probabilmente sospinto dalla sofferenza, derivante da un trattamento così inglorioso ed immeritato come quello perpetrato ai danni di un tecnico che ha sacrificato la sua carriera combattendo un sistema insano, dinanzi al quale ha preferito soccombere piuttosto che chinare il capo e conformarsi ad esso – in modo impulsivo, consegna l’abbonamento al Mister, lanciandolo nella sua autovettura ed aggiungendo di strapparlo, poiché sottoscritto unicamente per il rispetto provato per la sua persona, invisa al palazzo per le sue denunce, magari a volte schiavo del personaggio ma certamente un paradigma di onestà anche nell’errore.
La lealtà e l’amore emergente da un cuore nobile però impongono parole sagge, umili al cospetto di un’ideale, di una passione, che se da una parte ti nutre dall’altra spesso ti distrugge, ma non a tal punto da smetterla di amarla, lei, la tanto vituperata maglia. La Roma. “Lascia stare, la Roma cammina sempre avanti”. Queste le parole melliflue del boemo, a sottolineare ancora una volta la supremazia di quella maglia, che per quanto calpestata in campo dai calciatori con prestazioni indecorose o svilita dall’operato sconsiderato o per lo meno totalmente incoerente di una dirigenza inadeguata, che fa il paio con gran parte dei calciatori scelti, seppur a brandelli, trova ancora chi, alla vana gloria e ad al narcisismo personale, antepone il valore assoluto di quei due colori, giallo ocra e rosso pompeiano che quando li incontri non li lasci più, neanche dinanzi ad un tradimento, nemmeno per la delusione derivante da un colpo alle spalle, da parte di coloro che si sono celati fin dall’inizio, in modo malizioso, dietro una personalità importante, a tratti ingombrante che ha fatto ombra sulle responsabilità oggettive di chi la Roma avrebbe dovuto contribuire a farla grande restituendola ai fasti storici di un tempo e non depauperandola di significati, valori,senso di appartenenza, in nome di una rivoluzione culturale ad oggi ancora inconcepibile. La suggestione affascinante, per ogni tifoso romanista, di vedere una Roma trascinata da Totti sotto l’insegna di Zeman giungere a quella vittoria, foriera di un’ estasi catartica, purificando anni di malefatte e disperati ribaltoni, propri della storia sportiva, si è invece infranta miseramente crollando sotto i colpi dei mefistofelici avversari, ansiosi di sancire la fine di un’avventura, segnata già da almeno una settimana. Ciononostante, mentre i calciatori ed i dirigenti sono di passaggio, la maglia resta, così come rimane intatta l’integrità del tecnico praghese – per nulla scalfita dal passar degli anni – ed il suo amore per la Roma e la sua gente, rimasto immutato. Del resto l’amore vero è sofferenza…
A cura di Danilo Sancamillo