(A. Scanzi) “DAJE”. Era l’unica parola pronunciata da Zdenek Zeman in uno spot pubblicitario dedicato a una marca automobilistica. Da quando ha cominciato ad andare in onda, la Roma non ne ha più indovinata una e il Boemo è stato esonerato. Il cortocircuito mediatico è un classico. Anzitutto nello sport. Alla celebrazione, spesso avventata, fa seguito il testacoda. La caduta fragorosa e fantozziana. Uno dei casi più conclamati riguarda Andrea Stramaccioni. Accolto con troppa diffidenza, divinizzato con ancor più disinvolta leggerezza. La copertina su Sportweek della Gazzetta dello Sport, poi (soprattutto) quella su Sette del Corriere della Sera. Odi, lodi e agiografie sperticate. “Normal One”, “nuovo Mourinho”. L’hashtag “# S t ra m a l a ”. Stramaccioni, per una bolla di tempo che è parsa gigante, è stato il più rimarchevole caso recente di “santo subito”. Era bello, era giovane, era vincente. Si era fatto da solo. Zemaniano, ma anche catenacciaro. Buono per tutti, grandi e piccini.
IN TIVÙ poteva permettersi di dare lezioni di giurisprudenza a Ilaria D’Amico, in campo soleva ottenere i tre punti pur predicando un calcio (spesso) di manifesta bruttezza. Non poteva durare. Dietro l’angolo c’era la “Legge della Copertina Immeritata”. Non appena sbattono il quasi-eroe in prima pagina, quello si sgonfia. Si smonta. È accaduto anche a “S t ra m a ”. Vittorie sporadiche (magari grazie ad autoreti), pareggi mestissimi. Sconfitte come se piovesse. Una slavina di risultati e pure di grammatica (“Siamo sempre noi, siamo sempre io”). La fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo. E spesso finisce in coper tina.