(M. Macedonio) – Riparte da sotto la curva, la Roma di Andreazzoli, per la sua prima all’Olimpico. Non c’era infatti andata, la squadra, a scusarsi con i propri tifosi, al termine della partita con il Cagliari, l’ultima con Zeman in panchina, e ha pensato bene di farlo stasera, cominciando il riscaldamento proprio in quel semicerchio antistante la Sud, dove uno striscione rivolge un “ciao” a Fabrizio Carroccia, er Mortadella, a due anni di distanza dalla sua scomparsa. Ce ne sarà poi anche un altro indirizzato alle radio romane (e in Tevere ce n’è anche per la stampa). Sono da poco passate le 20 quando si ritrovano tutti in circolo, insieme allo staff tecnico, per i primi esercizi atletici senza palla. Un segnale, anche quello.
Un modo, forse, per stare vicini al proprio pubblico e chiederne a propria volta la vicinanza, stando anche il più lontani possibile dagli “altri”, che nel frattempo occupano la metà campo verso la Nord. Un riscaldamento che la squadra continua poi sul terreno di gioco e che dura anche più del solito. Mancano infatti solo dieci minuti all’inizio della gara quando Totti e compagni fanno rientro negli spogliatoi per indossare la tenuta da gioco. La lettura delle formazioni, intanto, non riserva grandi sorprese. Tanti fischi per quella juventina, con relativo surplus per Vucinic (che ne riceverà un’altra razione al momento della sostituzione) e Conte, ma anche grande sostegno – se si eccettua qualche cenno di disapprovazione al nome di Osvaldo – per ciascuno dei giocatori in campo con la maglia giallorossa, De Rossi e Totti su tutti. Sono proprio loro due che sembrano prendersi sulle spalle la squadra. Che, almeno nel primo tempo, gioca un calcio accorto, prudente, ma in cui non disdegna più di una folata offensiva.
Finiscono senza reti i primi quarantacinque minuti. Ed è a quel punto che, stavolta dalla parte della Nord, dove non ci sono bandiere di sorta, fa la sua comparsa lo striscione «Una curva senza colori per una squadra senza palle». Su un altro invece c’era scritto: «Società e giocatori fuori i coglioni, fate silenzio papponi e pecoroni, fare quadrato». Anche questo, evidentemente, fa da scossa. La squadra, infatti, rientra in campo con un altro piglio. E minuto dopo minuto, riprende a macinare e costruire gioco. Come al solito, ci pensa lui, il Capitano, da sempre l’anima vera e unica di questa squadra, con quel – che cos’era, un meteorite, un asteroide? – che fa letteralmente esplodere l’Olimpico, mentre sul settore ospiti (mai così gremito) piomba improvviso il silenzio. Torna invece a intonare i propri cori la curva Sud, come non accadeva da tempo. «Roma campione» grida e canta.
La squadra c’è e risponde sul campo, colpo su colpo, ai tentativi, sempre più vani, della Juve di riportarsi in parità. Ma stasera, è scritto, non può esserci parità. Scottano ancora quelle quattro sberle dell’andata per permettere che la Juve porti via stasera anche solo un punto. E allora, ci prova ancora, la Roma, trascinata dalla Sud, a chiudere la gara. Ma la gara è già chiusa. Quando esce il Capitano, si alza in piedi lo stadio intero. Che al fischio finale si concede l’ultimo sberleffo ai “drughi”: «Ma che siete venuti, ma che siete venuti, ma che siete venuti a fa»