(D. Giannini) – Tredici maggio 2012, Cesena, Stadio Manuzzi, ultimi gol della Roma di Luis Enrique, ultimo gol anche per De Rossi. Da allora per Daniele in giallorosso sono stati molti più bassi che alti. In totale fanno 294 giorni, un’eternità.
Nel giorno di quell’ultimo gol Obama ancora non era stato rieletto, Papa Ratzinger era ancora saldamente al suo posto o, per tornare allo sport, Michael Phelps non era ancora l’atleta più medagliato della storia dei Giochi Olimpici e Lebron James non aveva ancora vinto il suo primo titolo Nba.
Tanto, troppo, anche per un giocatore che per ruolo non è tenuto a segnare tanto. Maquello zero nella casella delle reti realizzate è una spia importante di quanto la sua stagione sia stata al di sotto delle attese, soprattutto dopo quel “popò” di Europeo.
Inutile andare a cercare ancora una volta le ragioni e le colpe, sue e di altri. Decisamente più interessante guardare oltre, decisamente più stuzzicanti in tal senso le parole pronunciate lunedì da Aurelio Andreazzoli, che non solo lo ha messo al centro della sua Roma assieme a Totti, ma che ha scommesso sulla sua ri-esplosione: «De Rossi ha bisogno di tempo, non è stato bene fisicamente e nel calcio moderno, se non sei al top, puoi esprimerti in maniera relativa. Lui è un calciatore di livello assoluto e anche se non sta bene fa la prestazione col cuore e con le capacità tecniche. Ma fra 2-3 settimane tornerà a essere il campione che è sempre stato».
Magari anche prima. Perché i segnali ci sono stati. Contro la Juventus la sua reazione (oltre che quella di tutta la squadra) è apparsa evidente, quando si era preso il centrocampo con le buone e con le cattive. E per colpa delle seconde e del giallo per il fallo su Lichtsteiner (duro, ma segno di essere testa e gambe nella partita) ha dovuto saltare la prova del nove. Quella che per la Roma è riuscita a Bergamo. Lui la affronterà domenica sera contro il Genoa.
Dopo il successo scacciacrisi contro la capolista, fondamentale per tutto quello che significa battere la Juve, dopo quello preso con la sciabola e i ramponi attaccati al ghiaccio di Bergamo, ora serve un passo ulteriore. Serve, è quasi superfluo dirlo, la terza vittoria consecutiva per vedere quanto più su starà la zona Champions. Serve magari una vittoria tonda, convincente, di quelle che ti danno coscienza di quanto sei forte. Di quanto sei squadra «dalle qualità pazzesche» per citare quanto detto l’altro giorno da Perrotta. Insomma una Roma adulta, matura, con un De Rossi in più. Quello che trascina la squadra, come fece qualche anno fa proprio contro il Genoa.
Era il 5 aprile 2008, il gol, l’urlo feroce “Daje Roma Daje”. Non l’unico gol al Genoa, ma quello più importante. L’altro arrivò pochi mesi dopo il primo, lì a casa loro, un momentaneo pareggio in una giornata storta che finì con una sconfitta con la doppietta di Milito e con la sua espulsione.
Ecco, De Rossi riparte dal Genoa, da un altro Genoa che davanti ha Marco Borriello, quello a cui, nei giorni in cui stava trasferendosi alla Roma, De Rossi scrisse: “Annamo a vince’!”. Da domenica e per 13 domeniche (le 12 di campionato più quella della possibile finale di coppa del 26 maggio che conterebbe quasi più di tutte le altre messe insieme) servirà quel De Rossi lì, dell’”annamo a vince”, del “Daje Roma Daje”. Un De Rossi che dall’inizio del campionato ha giocato più di mille minuti, ma pochi come il Daniele vero, quello che è un fenomeno di livello assoluto, quello che “tra 2 o 3 settimane tornerà a essere il campione che è sempre stato“. Da domenica sarebbe meglio.