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IL ROMANISTA Lo strano caso di Rosella Sensi

Rosella Sensi

(D. Galli) – Un anno fa diceva di vedere «il nuovo corso della Roma» con «la speranza di una tifosa». Dodici mesi dopo Rosella Sensi è sempre tifosa – non è più presidente, di fatto non lo è più da quando il 26 luglio 2010 ha ceduto il controllo del club a Unicredit – ma col tempo la speranza s’è spenta ed è cresciuto il livore. In un’intervista alla Rai di due giorni fa, l’ex numero 1 della Roma contesta quasi tutto dell’attuale dirigenza. Quasi tutto. Qualcosa viene risparmiato, qualcosa si salva, qualcosa non merita la bocciatura piena. Un esempio. Uno a caso. La promozione di Andreazzoli a tecnico della prima squadra. Già. Ma mica perché Andreazzoli è venuto sotto la sua gestione. No. Non per quello. Maliziosi. La Roma sorvola. È una questione di buon gusto. Rispondere significherebbe oltretutto alimentare altre divisioni tra sensiani e antisensiani, divisioni che non fanno bene all’ambiente. Specie adesso che la Roma è un cristallo fragile. È un amore da coccolare. Non da contestare.

ZEMAN Rosella Sensi non è d’accordo sull’esonero di Zeman. «Se i numeri lo giustificavano? Non credo. Parlo da chi sta fuori e non conosce la situazione interna, ma mi permetto di dare il mio parere. Per la sua storia, Zeman va sempre protetto e tutelato fino in fondo. Sinceramente non lo avrei esonerato, ma non conosco la situazione interna». Non lo avrebbe esonerato, ma nemmeno lo avrebbe ingaggiato. Anzi, macché, forse sì. Lo avrebbe preso. «Avrei proseguito con Montella lo scorso anno. Non vuol dire che non avrei scelto Zeman, che ho conosciuto e stimo. Lo ritengo un ottimo allenatore, ma avrei iniziato un percorso nuovo, con i giovani e con Montella. Mio padre mi ha sempre detto che l’allenatore va sempre tutelato fino in fondo, a meno che lui non sia demotivato e non voglia andar via». Alt. Rosella Sensi stima Zeman? Ma parla dello stesso Zeman che in un’intervista a Tony Damascelli del 2005 aveva definito«più presuntuoso che altruista»? Parla dello stesso Zeman corteggiato e poi mollato in quella stessa estate di 8 anni fa, e che per avere aspettato la chiamata della Roma perse così la possibilità di allenare, venendo chiamato dal Brescia solo a marzo dell’anno dopo?

LA CONTINUITÀ Le viene chiesto se tagliare con il passato non sia stato l’errore di base. La domanda riguarda Luis Enrique e Zeman, ma la Sensi allarga la disamina, la estende anche alla rosa. «Credo – risponde – che, in un cambiamento così radicale come quello avvenuto due anni fa, un segno di continuità andasse dato, almeno ai giocatori. Poi ognuno fa le scelte che ritiene più giuste, io non avrei dato un taglio così netto a tutto, immediatamente. Avrei continuato per capire come gestire le cose al meglio. Mi auguro che abbiano avuto dei buoni motivi». La Sensi tifosa dimentica quanto avvenne nell’estate 2011. Quella incriminata. Quella della rottura, secondo lei, con il passato. La Roma fu costretta a cedere Vucinic, che aveva smarrito il sorriso e Menez, che aveva testa e cuore a Parigi. Mexes non aveva rinnovato, si era svincolato a parametro zero firmando col Milan approfittando – non c’era Sabatini, non c’era nessun dirigente attuale – di un vuoto di potere che in quel momento non era imputabile a nessuno, nemmeno a una Sensi ormai ridotta a presidente sulla carta. Certo, magari un’offerta a Mexes qualcuno avrebbe potuto fargliela prima. Quando la Sensi era presidente-presidente e non presidente pro forma. Doni e Julio Sergio furono mandati via dalla piazza, Riise aveva disputato un’ultima stagione non all’altezza delle precedenti, mentre furono rinnovati i contratti di Perrotta e Taddei. Due pilastri della gestione Sensi. Non ci fu rottura, ci fu ricambio, ci furono innesti. La nuova proprietà investì 40 milioni sul mercato al netto di acquisti e cessioni. E poi si trovò a dover risolvere la questione del contratto di De Rossi. Un contratto, anche questo, che andava rinnovato prima per evitare il rischio che Daniele andasse via a parametro zero. Non è successo perché le cifre offerte da questa dirigenza sono state adeguate, ma soprattutto perché De Rossi non ha ceduto alle lusinghe di club più potenti e blasonati.

ANDREAZZOLI Su questo punto non c’è discussione. «È una bravissima persona e un grande professionista, un uomo silenzioso ma sempre molto presente». La Sensi batte le mani. «Lo ricordo – continua – nella gestione Spalletti, è stato determinante nell’organizzazione e nei risultati. Mi auguro e sono convinta che possa lavorare al meglio. Ha una responsabilità enorme in questo momento, quella di continuare in un momento di grande crisi e confusione». Andreazzoli è un frutto delle sue decisioni. Non può essere una scelta sbagliata.

DE ROSSI Giusto un attimo di sosta. Le critiche riprendono subito. La Sensi contesta la gestione dell’affaire De Rossi. «Daniele ha un carattere molto forte ed è un ragazzo sensibile, non me lo riesco a spiegare perché non ho contatti con lui. Sicuramente per rendere al meglio deve sentirsi in un certo modo. Non dico che si deve sentire al centro del progetto, non uso questi termini. Credo che la gestione del singolo giocatore sia necessaria per fare una buona squadra. Probabilmente qualcosa è mancato nei suoi confronti e si è sentito demotivato. Ha anche lui le sue responsabilità, ma i giocatori vanno gestiti singolarmente perché hanno caratteri diversi e vanno coinvolti tutti. Ma non dico nulla di nuovo». Domanda: ma la gestione del calciatore non spetta al tecnico? Perché se è così, ed è così perché con Luis Enrique De Rossi era «al centro del progetto», stando al ragionamento della Sensi ad avere sbagliato è stato Zeman. Lo stesso Zeman lusingato qualche risposta prima, lo stesso Zeman «più presuntuoso che altruista» del 2005.

SPALLETTI Vedi Zeman. Ora di Spalletti dice: «Abbiamo vissuto bellissimi anni con lui, per il gioco espresso e per i risultati. Sicuramente Spalletti avrebbe fatto grandi cose. Farebbe, anzi. Sperarlo, da tifosa, non costa nulla». Una volta di Spalletti diceva: «Non me l’aspettavo che abbandonasse la nave in questa situazione». Si sarà ricreduta.

PROPRIETÀ Riecco il tema della presenza della proprietà, tanto caro a qualche professionista del tweet. È quasi un hashtag, l’etichetta del pennuto social network: #mancaproprietà. Dice la Sensi: «La proprietà della Roma deve essere un punto di riferimento, nel bene o nel male, nei confronti dei tifosi, che se la possono prendere o meno con una figura di riferimento e dei giocatori, che devono sentire la presenza di chi decide. Per me è fondamentale nella gestione di un gruppo, che consiste non solo dei giocatori ma anche dei dirigenti e dell’ambiente. La Roma si vive dal lunedì mattina alla domenica sera, va sentita, ci vuole passione per questo lavoro. Mi auguro che Pallotta la avrà quando verrà qui. Probabilmente ce l’ha ma è troppo lontano». La Sensi ha ragione, il padre Franco era una presenza fissa. Lui. Viene da chiedersi quanto tempo trascorresse la figlia dentro Trigoria. Anzi, quante volte ci andasse. Anzi, ancora meglio: quante volte andasse a Trigoria e quante in trasferta. In ogni caso, Pallotta ha voluto apposta per la Roma l’ex capo della Concacaf, Italo Zanzi. È il CEO, il capo, non una testa di legno, ma una figura di primo piano che piano piano sta prendendo confidenza con uomini, donne e cose romaniste.

UNICREDIT La Sensi è stupita. Come mai Unicredit è così buona con gli americani? «Non so quale sia l’atteggiamento della banca. Ricordo che nell’ultimo periodo in particolare c’era stato tantissimo rigore da parte loro. Non conosco la presenza della banca nella gestione della Roma. Forse hanno mollato un pochino». Forse. Forse perché nei confronti di Unicredit lei era debitrice e gli americani invece sono soci.

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