(C. Zucchelli) – James Pallotta insiste. Insiste con la massima fiducia nel management scelto per guidare la Roma. Insiste con la massima fiducia nei calciatori, che reputa di alto livello sotto il profilo umano (soprattutto dopo averli conosciuti meglio a Orlando) e sotto il profilo calcistico. E insiste con quello che è l’obiettivo minimo da centrare: la qualificazione europea. Se, come appare evidente a meno di miracoli a cui in questo momento non si può credere, non sarà la Champions, che sia quantomeno l’Europa League da raggiungere attraverso un piazzamento importante in campionato o – oppure e – attraverso la finale di Coppa Italia. Pallotta, in questo senso, è stato chiaro. Deciso. E non è solo una questione di marketing, di brand o di visibilità. È una questione sportiva.
Pallotta è un uomo di sport e come tale sa che i risultati sono alla base di tutto. Non giocare in coppa per il terzo anno di fila (con Luis Enrique la Roma è stata eliminata ai preliminari di Europa League dallo Slovan Bratislava) sarebbe deleterio. Per i conti, sicuramente, tra incassi al botteghino e quant’altro. Ma anche per l’autostima del gruppo, per l’entusiasmo dei tifosi (specie per una società che punta a lanciare la campagna abbonamenti del prossimo anno in anticipo) e per il mercato, considerando lo scarso appeal che avrebbe un club che si limita a campionato e coppa nazionale.
Pallotta ha seguito passo passo questi giorni di crisi anche stando dall’altra parte dell’oceano. Una trentina, più o meno, le mail inviate a tutti i suoi collaboratori. Poi ci sono state le conference call, le telefonate. I messaggi. Pallotta si fida delle persone che stanno guidando la Roma e si fida del loro giudizio. Ha avallato la scelta di Andreazzoli, avrebbe avallato anche un altro allenatore se Baldini e Sabatini avessero trovato il successore di Zeman tra coloro che per primi erano stati individuati, Blanc su tutti. Il fatto che Pallotta abbia ancora fiducia nel management attuale non significa che tutto quello che è successo in questi mesi non influirà nelle scelte che verranno fatte a fine stagione. Tutti sono sotto esame, come è normale che sia e come succede in qualsiasi azienda del mondo. Sabatini, ad esempio, ha il contratto in scadenza ma l’intenzione della proprietà è quella di rinnovarglielo, visto l’ottimo lavoro (Pjanic, Lamela, Marquinhos…) da direttore sportivo. Per quanto riguarda Baldini, che il contratto invece ce l’ha, il discorso è diverso visto che lui stesso, provato da quanto successo in questi giorni, era pronto a rimettere il mandato nelle mani del presidente. Ipotesi, questa, che nessuno ha preso in considerazione. Si va avanti così, con la speranza chei risultati e anche la fortuna (che certo in questi mesi non c’è stata) possa assistere la Roma. In tutto questo quadro ci sono i giocatori. A Trigoria li descrivono «scontenti e insoddisfatti» per quanto successo finora ma tutti assicurano che non c’è stato nessuno che abbia mai remato contro o giocato contro Zeman. Alcuni erano più convinti, altri meno, alcuni hanno legato con l’allenatore, altri invece non ne apprezzavano l’eccessiva intransigenza, ma nessuno ha avuto comportamenti poco professionali. «Si sono sempre allenati bene», dicono ancora dal Bernardini dove in questi momenti si pensa a proteggere la squadra, soprattutto i giocatori più giovani che hanno accusato oltremodo tutti i problemi scaturiti dal cambio di allenatore. Per questo oggi o domani i dirigenti parleranno di nuovo alla squadra.