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LA REPUBBLICA Cose da Totti

Totti e De Rossi

(E. Gamba) – Quanto costa la Champions League? Una sconfitta all’Olimpico, se si paga pronta cassa. La Juve, difatti, ha pagato senza fiatare, senza nemmeno battere ciglio, quasi fosse rassegnata alle conseguenze di un martedì da leoni. Così la Roma è risalita dall’abisso della sua crisi, accompagnata nel suo ennesimo viaggio di speranza dallo spirito e dalla carne di Francesco Totti, che ha segnato un gol e la partita intera. (…) La partita è rimasta prigioniera della stanchezza e della paura, e non è difficile capire chi fosse stanco e chi spaventato. La Juve non ha avuto i denti per azzannare, talora le capita, muscoli e nervi non si ricaricano a comando come uno smartphone, non gliene si può fare una colpa.

E d’altronde chi poteva chiedere alla Roma audacia, sfacciataggine, sfrontatezza? Andreazzoli ha scelto piuttosto il talento, mettendo in campo tutto quello di cui la sua squadra dispone: magari poteva sembrare un rischio (Totti+ Lamela+ Osvaldo+ Pjanic+ De Rossi+Marquinho), ma i giallorossi non potevano certo sperare di sfangarla con la coesione, l’armonia, il senso del collettivo. Serviva un po’ di puntiglio (non è mancato) e soprattutto giocare a pallone, anche con egoismo, di sicuro senza troppe riflessioni. A gioco lungo è stata una scelta che ha pagato, anche perché la Juve ha fatto davvero poco per intromettersi. Per tutto il primo tempo, le due squadre si sono adagiate una sui limiti dell’altra: alla Roma stava benissimo la placidità bianconera, la Juve non si sentiva minacciata dalle fragilità giallorossa.

Conte deve aver capito in anticipo l’antifona, perché si è subito agitato molto indicando ai giocatori movimenti e posizioni: ultimamente non aveva più bisogno di farlo visto che tutto era stato mandato a memoria, ma all’Olimpico non sembrava che i campioni avessero mesi di studi alle spalle. Hanno giocato con un po’ di supponenza, d’altronde la fatica annebbia le idea o induce a fidarsi un po’ troppo di sé: difatti la Juve ha giocato a lungo come se la sua superiorità dovesse imporsi naturalmente, senza sforzi. È sempre andata a rimorchio della Roma, accettando la noia del primo tempo (di cui si ricordano degli spunti di Osvaldo nati morti, una punizione di Pirlo artigliata da Stekelenburg e il calcione di De Rossi a Lichtsteiner e una tacchetta di Totti sul ginocchio di Pirlo, più d’istinto che di cattiveria) e poi anche la sfida a campo aperto che è andata inaspettatamente in scena dopo l’intervallo.

Nei primi dieci minuti della ripresa c’è stata un’alternanza serrata (Osvaldo, Vucinic, Pjanic, Matri, Osvaldo), brutalmente interrotta dal deflagrante gol di Totti: una punizione di Pjanic respinta da Vidal ha caricato la spingardata da venti metri del capitano, una botta secca, tesa, precisa, tecnica, potente. Un gesto di calcio purissimo. In genere, questi colpi scuotono la Juventus. Non ieri, non c’erano le forze né la predisposizione mentale. La Roma, al contrario, è andata in crescendo, seguendo logica e talento: non sono stati i misteri del tè caldo dell’intervallo a disarcionare la partita, ma il semplice fatto che almeno due dei tre del tridente giallorosso si sono messi a giocare bene contemporaneamente, e non a fasi alterne: c’è talmente tanta classe, in quei tre, che può essere abbastanza anche per battere i primi in classifica.

Allo svantaggio, la Juve non ha praticamente reagito: ha fatto un po’ di massa nell’area altrui, fiondato qualche cross, chiesto ad Anelka contributi da un’epoca troppa lontana, ma in definitiva nell’aria ci stava più la promessa di un 2-0 che quella di un 1-1. Invece tutto si è limitato a Totti, ed è anche giusto che sia andata così.

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