(E. Sisti) – Aspettando di capire come andrà a finire la partita con lo sceicco che nessuno conosce, la Roma continua a promuovere i suoi inestimabili difetti e/o i suoi ben dissimulati pregi battendo l’Atalanta in una gara imbiancata dalla neve. Com’è noto nel calcio i punteggi vanno e vengono, com’è noto le squadre salgono e scendono d’umore e di rendimento. Solo che quando c’è di mezzo la Roma è come se fosse un po’ tutto frutto del caso, mai una logica, un disegno, un po’ di ordine, mai (a parte Totti che non c’era) un po’ di vera qualità. Evidentemente esiste un calcio in cui la confusione paga. La Roma ha vinto a Bergamo finendo con un modulo da trincea, il sei-tre-uno, approfittando delle debolezze strutturali di un’Atalanta morbida e carente. Il tutto in condizioni ambientali da costa lappone. Essendo intimamente piccola, per i moti della sua misteriosa marea interna, la Roma dovrebbe giocare sempre contro una grande, non necessariamente la Juventus. Solo così può sperare di elevarsi, costringersi ad un surplus di concentrazione e motivazioni. Quando invece si trova davanti una squadra teoricamente inferiore (molto teoricamente), accade l’esatto contrario: è lei che si fa trascinare nell’abisso. Un’allucinazione del portiere Consigli ha trasformato l’innocuo cross di Bradley in un assist decisivo per Torosidis e la prudenza di Andreazzoli in una filosofia da studiare.
La sua modulistica è varia come quella di un ufficio postale. Ci si può aspettare di tutto. Per Bergamo era stato allestito il 3-4-2-1 accompagnato da un «i giocatori facciano ciò che sanno». Dopo aver favorito il vantaggio atalantino di Livaja (9’ pt), con un errore, Marquinho contravveniva le regole in attacco. Vagando in una posizione non sua, quella di esterno destro, ha inventato l’1-1 (12’ pt). Paradossi. A lungo Bradley e Pjanic si sono pestati i piedi. Poi Pjanic s’è imposto sull’americano. Le squadre si sono allungate quasi subito. C’era spazio per manovrare, ma ciò rendeva ancora più evidenti i limiti di chi viene pagato per pensare. Il bravo Bonaventura obbliga la Roma a difendersi a quattro, ma con due esterni destri (Piris e Torosidis). Osvaldo e Lamela erano fra i peggiori. Neve spaventosa dal 30’, si faticava a vedere le maglie bianche della Roma. Pjanic raddoppiava su punizione a foglietta morta su cui Consigli non ha fatto una piega (33’). Ma la difesa della Roma è allegra come le comari di Windsor.
Al 44’, sull’appoggio di Carmona, Torosidis faceva solo finta di marcare Livaja: il 2-2 viene servito su un bel piatto sinistro. Nella ripresa sono prevalse paura e incapacità, s’è visto il carattere così così di entrambe. Sono emerse le prime durezze, dovute al campo e alla povertà di mezzi. La rete di Torosidis (26’) è stata una ciliegina colorata come i due palloni con cui si è giocato: giallo e quasi rosso. Ma dopo una gara così, anche se vinta, chissà, magari Zeman lo crocefiggevano comunque.