(Panorama.it) L’arresto del presidente del Cagliari Massimo Cellino per la vicenda legata allo stadio di Quartu IS Arenas è il punto di non ritorno del calcio italiano. No, non entreremo nelle ragioni giudiziarie che hanno portato a questa misura cautelare, perchè è ambito che non ci compete. Ma il messaggio per il calcio italiano è quello di un punto definitivo. Il calcio italiano, da troppi anni gestito come una trattoria di paese, ma senza la cura e la passione che albergano nei luoghi del buon mangiare, è ormai arrivato al capolinea.
Da troppi anni le classifiche dei campionati sono condizionate più dai segni meno in classifica che dai reali valori che emergono sui campi di gioco. Il calcio italiano è probabilmente l’unico al mondo che ha visto praticamente tutti i suoi top club (ad eccezione dell’onestissima Inter e della Sancta Sanctorum As Roma) retrocessi per faccende distanti dal calcio giocato (Juventus, Milan, Napoli, Lazio, Fiorentina, Genoa). La piaga del calcioscomesse che è sicuramente un fenomeno di portata globale, ha avuto in Italia il record mondiale di mala-gestione. Una Federazione assente, anzi latitante per anni, partite di fine campionato aggiustate per decenni, in una commistione scellerata tra assenza di cultura sportiva, interessi economici e latitanza delle istituzioni.
Stendiamo un velo pietoso sulla genesi e la gestione della farsa chiamata Calciopoli, e ne stendiamo uno ancora più clemente su come le istituzioni calcistiche abbiano regolato le istanze di economicità dei club. Quello che emerge come quadro più generale è un movimento totalmente allo sbando. Dove la Lega Calcio è in una posizione minoritaria, sia rispetto alle istituzioni sportive del Paese, sia rispetto ai club che la rappresentano e che di fatto la governano attraverso un complesso e medievale sistema di bande e correnti (alternate).
La Lega Calcio italiana, non è soggetto economico espressione dei club, ma una realtà con obiettivi e governance propri. Una sorta di consorzio di squadrette di periferia che si accoltellano per un posto al sole nella spiaggia troppo assolata del Bel Paese.
La FIGC, dal canto, suo è la massima espressione della formula enti-inutili-da-abolire. Da troppi anni non governa un bel niente. I suoi esponenti si limitano a fare politica nei salottini buoni senza mai rendere conto del loro operato. E la giustizia sportiva, che fa capo ad essa, è sempre più simile a un fantasy-game. Lo potremmo chiamare “Fanta-Palazzi”, un “gioco” (ma peccato che gioco non sia) dove lì sì la palla è sempre rotonda: basta un rimpallo irregolare per consentire alla Procura Federale di prendere decisioni senza logica e dando la certezza ai tesserati che ogni decisione sarà sempre e comunque un terno al lotto.
E ci fermiamo qui: per evitare di raccontare come diverso sia il trattamento per amici, amichetti e parenti. Resta il discorso delle infrastrutture. Limitando il discorso agli impianti delle società di A, pare quasi scontato (e quindi inutile) sottolineare l’inadeguatezza di stadi che erano già vecchi vent’anni fa. Guardare una partita del campionato italiano in Tv fa davvero specie, nel fare zapping con i match della Premier League (ma anche della Bundesliga) il raffronto è agghiacciante. Sembra di passare da una Tv a colori e in HD a una in bianco e nero che trasmette i radiogiornali dell’Istituto Luce.
Il Biancoenero appunto. Quello di una società che lo stadio di proprietà (e all’avanguardia) l’ha costruito davvero (senza fantomatici investitori cinesi o illuminati partner d’oltreoceano). La Juventus è ora che capisca che il campionato italiano rappresenta una zavorra insopportabile per il suo progetto sportivo ed economico. Gli investimenti commerciali in un movimento come questo saranno sempre minori. Convincere partner e atleti a lavorare in un settore così poco attrattivo sarà sempre più ostico. Le rappresaglie di un movimento governato dalla logica del Far West ci hanno già fatto pagare un prezzo troppo alto. E le ultime elezioni di Lega e FIGC hanno dimostrato ancora una volta quanto questo calcio sappia solo replicare se stesso in una perenne brutta copia di una già pessima copia.
E noi cosa ci stiamo a fare qui? Per giocare in stadi al limite dell’agibilità? Per discutere con gente dalla fedina penale discutibile e senza alcuna visione di lungo periodo? Per giocare contro avversari tecnicamente sempre più infimi? Per vedere i campioni più affermati emigrare sempre di più verso altri lidi? Per vederci ridotti i posti in Champions Leage anno dopo anno? Per accettare supinamente le inique decisioni della giustizia sportiva? Per cosa? Per sentirsi osteggiati praticamente da tutti i media nazionali senza che le istituzioni prendano mai posizione? No. Se fino a qualche mese fa qualcuno (non noi) poteva pensare ci fosse ancora uno spiraglio per riformare il sistema dall’interno, ora è evidente che l’unica spallata che si può dare è quella di mettere in atto una exit strategy efficace: emigrare nella Ligue francese, ad esempio. A quel punto vedremo se la trattoria di paese sarà in grado di tenere aperta anche senza il suo miglior cuoco in cucina o se invece capirà che forse è proprio da quel cuoco che andrebbe imparata la lezione.