Caro Totti, dopo aver scavalcato Nordahl con 226 gol nella classifica dei marcatori di tutti i tempi, lei entra di diritto nella storia del calcio. Al di là delle fazioni non si può non riconoscere il suo valore assoluto. Come ci si sente mentalmente a questi livelli? Qual è il suo segreto?
«Un po’ tutto. La famiglia è la base dei successi. Quando stai bene di testa, riesci a dare sempre qualcosa in più a livello professionale. Poi è importante mantenersi in forma e rispettare le persone con cui lavori, mettersi a disposizione di tutti. Nel ruolo così importante che rivesto nella società, devo dare qualcosa in più degli altri. Lo esigono tutti, è giusto che sia così».
Considerarla uomo immagine della Roma è riduttivo, lei è qualcosa di più, in una Roma che sta cercando di lanciarsi a livello mondiale, ma c’è ancora un po’ di confusione in società. Cosa si deve fare per uscire da questa fase di incertezza? I soldi sono stati investiti, ma forse non c’è ancora una certa chiarezza societaria.
«Non sta a me giudicare, la base di tutto sono i risultati. Quando arrivano, tutto è più chiaro, ma Roma come città deve avere una squadra all’altezza delle big d’Europa, deve farsi conoscere a livello internazionale. Mantenersi su questi livelli non è semplice. Tutto dipende dalla società che hai alle spalle, che deve essere presente. I risultati, però, ripeto, aprono mille porte».
«Lo ha detto il presidente Pallotta, riuscire a farlo sarebbe bellissimo, ma credo che sia difficile, non so se e quando questo benedetto stadio sarà fatto. Spero che si sbrighino, ma dipende da tante persone».
Perché ha fallito Zeman? C’è stata una grande passione popolare intorno a lui. Ma poi forse qualcosa non ha funzionato nello spogliatoio, c’è stata una grande differenza tra quello che aveva in mente e quello che si vedeva in campo.
«Ciò che non ha funzionato sono stati i risultati. La colpa è stata più di noi giocatori, non abbiamo dato tutti il cento per cento. Se avessimo voluto realmente quello che ci diceva Zeman, staremmo qui a parlare di un’altra stagione. Invece l’abbiamo presa con superficialità, quel che veniva veniva, tanti giovani non riuscivano a capire quello che lui voleva veramente. Purtroppo il campionato passa veloce e quando non arrivano i risultati è sempre l’allenatore a pagare».
La Roma con questa rosa può puntare a traguardi ambiziosi o manca ancora qualcosa?
«Può crescere, ma vincere adesso no. Io lo dissi a inizio stagione. Ci sono squadre più forti di noi, anche se presi singolarmente qui ci sono grandissimi giocatori. Ma nel calcio italiano non conta il singolo, ma il gruppo. Con tanti giovani non è facile, in un campionato che è più difficile degli altri. E poi una piazza come Roma esige subito grandi prestazioni».
Pjanic e Lamela sono i giovani più talentuosi. Cosa ne pensa?
«Sono giocatori già pronti a livello mondiale, anche se sono giovani fanno la differenza».
Tutte le grandi squadre cercano allenatori che sviluppano un calcio organizzato. La Juve sta vincendo il secondo scudetto seguendo questa strada. La Roma oggi ha Andreazzoli, ma ha bisogno di un allenatore che crei una strategia di gioco?
«Un allenatore in una squadra è importantissimo, soprattutto per la sua bravura a gestire il gruppo, a farlo restare unito. Perché è facile giocare con Messi, Xavi, Iniesta, con i grandi campioni potrei fare anch’io l’allenatore… Ma per raggiungere grandi risultati è fondamentale un gruppo unito».
In tanti anni di Roma, quando c’è stata la maggiore coesione?
«Ai tempi dello scudetto con Capello eravamo un gruppo eccezionale. Ci frequentavamo anche fuori, organizzavamo delle cene quasi tutte le settimane. Questo è utile, perché ti conosci meglio. E quando hai un amico che frequenti anche fuori del campo riesci a dare il 10 per cento in più».
La Roma di oggi ha forti personalità?
E’ un gruppo che deve amalgamarsi. Ancora non è stato fatto tutto quello che vorremmo, ci sono tante cose da approfondire».
Andreazzoli com’è? E’ un tecnico rigido, un sergente di ferro?
«E’ una bravissima persona, ha la fortuna di conoscere tutto l’ambiente, da quasi dieci anni è a Trigoria, vive lì, conosce tutto dalla A alla Z. E’ stato bravo a trasmettere questa sua conoscenza a tutti, a coinvolgere tutto il personale. Questa è stata una qualità. Poi i risultati sono venuti, è un buon allenatore, cerca di mettere la squadra in campo nel migliore dei modi in base alle caratteristiche dell’avversario. Gestisce i rapporti con i giocatori, è un tattico che cambia modulo nel corso della partita e questo ai giocatori fa piacere».
Cosa le piace della Juve?
«Il carattere e il modo in cui affronta le partite. Ogni partita è come se fosse una battaglia, soprattutto in casa loro sono devastanti. E’ difficile fare risultato in quello stadio».
Conte è stato criticato per aver esultato troppo a Bologna.
«Per me ha fatto bene perché è stato un gesto rivolto verso i tifosi della Juve. Ha già vinto lo scudetto e ci sta festeggiare con i propri tifosi».
Cosa pensa delle inseguitrici?
«Al livello della Juve non c’è nessuno. Il Milan ha cambiato molto, aveva cominciato malissimo, ora sta facendo un ritorno eccezionale, da Milan. Il Napoli da anni mantiene lo stesso passo, le altre si giocano un posto in Europa».
Anche la Roma?
«Sì, io penso più all’Europa League, per arrivare più in alto dovrebbe succedere qualcosa di importante. Ma il mio sogno è tornare in Champions, è un obiettivo che abbiamo in comune tutti noi romanisti».
A questo punto interviene il presidente del Coni, Giovanni Malagò, illustrando quale è la sua opinione di Totti, in base a una conoscenza datata negli anni.
«Francesco fondamentalmente è un timido, solo chi lo conosce bene se ne rende conto. Nella vita privata ha un carattere opposto rispetto al campo, e come tutti i timidi quando si sente a suo agio diventa l’attore principale. Ma non è facile metterlo a suo agio. Se lui si sente veramente a casa, anche con gli altri, e quindi non ci devono essere invidie e doppie facce, riesce ad essere l’elemento trainante, altrimenti è più portato a chiamarsi fuori».
Presidente Malagò, Totti come Riva ha fatto una grande rinuncia. Lontano da Roma avrebbe potuto vincere molto di più. Per lei che è un tifoso della Roma, cosa rappresenta Totti?
«A prescindere dal mio ruolo istituzionale, non disconoscerò mai il mio tifo. Mi sono messo spesso nei panni del tifoso delle altre squadre. Un esercizio che mi diverte fare. Siamo tutti figli dell’epoca in cui viviamo. Negli ultimi venti anni, questo discorso si può allargare solo ad altri due giocatori: Del Piero e Maldini, del quale si insegue un record di presenze pazzesco. Penso che il calcio oggi abbia bisogno di valori, la disaffezione negli ultimi anni è latente, strisciante. Se il percorso che ha fatto Francesco nella Roma, come quello di Del Piero o di Maldini, fosse imitato da altri giocatori meno importanti, sarebbe un’ottima medicina per il nostro calcio».
Torniamo a rivolgerci a Totti. E’ un periodo particolare in Italia. Il nuovo Pontefice, che ha scelto il suo stesso nome, ha trasmesso una grande emozione. Ha parlato di un mondo più etico. Quali cose le piacerebbe vedere nel mondo e in Italia?
«Rispolverare certi valori farebbe a tante persone. il Papa mi ha suscitato una buona impressione appena si è affacciato a San Pietro. Ha un viso buono, lo vedo in modo diverso rispetto all’altro, e non perché ha scelto il nome Francesco, ci mancherebbe. Si è presentato come una persona normale, anche se è un’entità diversa. E’ una persona piacevole che trasmette serenità. Potrebbe fare bene alla società di oggi».
Che rapporto ha avuto Totti con Del Piero?
«E’ un amico, una persona vera, con la quale ho condiviso tante gioie e anche qualche dolore. Una persona che ha dimostrato amore sempre per la stessa maglia, per gli stessi tifosi. Un giocatore che va rispettato».
In Nazionale vi siete sempre rispettati con amicizia. Al Mondiale in Germania, Del Piero lasciò a la maglia numero 10 e lui prese la 7.
«Tra noi non c’è mai stato un dualismo vero, anche perché io facevo il trequartista e lui la seconda punta. Per come giocava Lippi si poteva creare una certa competizione. Però con lui ho sempre avuto un grandissimo rapporto. A prescindere da chi andava in campo».
Si parla di un suo ritorno in Nazionale.
«Le parole di Prandelli mi hanno fatto piacere. Però da qui all’anno prossimo si vedrà. Ora sto bene, ma può darsi pure che tra un anno smetto…»
La sua disponibilità nei confronti dei piccoli malati del Bambino Gesù parte da lontano.
«Mia madre conosceva un’infermiera che vi lavorava, mi ci portava per vedere questa sofferenza e da lì ho capito tante cose. La mia fortuna, ciò mi ha fatto arrivare fino a questo punto, è stata quella di avere alle spalle una famiglia che mi ha trasmesso i valori giusti».
Suo padre percorre migliaia di chilometri in auto per seguirla, ma è sempre stato severo nei suoi confronti.
«Tuttora lo è. E’ molto critico, non mi dà mai una soddisfazione. Mi dice sempre che posso fare meglio, di più. Mi dice che sono una schiappa, che era più forte mio fratello. Però quando non sono presente, agli altri dice cose molto diverse…».
Cristian promette bene come calciatore? Ha preso dal padre?
«Gli piace giocare, si diverte, quando diventerà grande sarà lui a decidere, fare sport è importante. Come padre sarei contento se facesse il calciatore, ma andrebbe bene anche se facesse un altro sport».
Che cosa vi siete detti con Zeman, quando è stato esonerato?
«Mi ha abbracciato e mi ha detto: “mi raccomando, supera tutti”. Ci è venuto a salutare, davanti allo spogliatoio. Mi sono emozionato perché con lui ho un rapporto che va oltre il calcio. L’ho sempre stimato come uomo e come allenatore. Di lui ho parlato sempre bene, anche quando stava cercando una squadra e andò al Napoli».
L’ultima: pensa davvero di poter raggiungere Piola?
«Ci credo, è un altro mio obiettivo. So che è difficile, perché non ho vent’anni, però quando mi metto in testa una cosa cerco sempre di ottenerla. Finché non lo supero, non smetto…»