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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Esultanza

Scomponiamo la cronologia e cominciamo dal minuto cinquantotto, quando l’inizio di una storia interseca, non solo per via di metafora, la Storia con la maiuscola: il decollo di Alessio Romagnoli è un concentrato per i “malati” del Lotto: dodici e uno il giorno e il mese della nascita, quarantasei la maglia, diciotto gli anni, verdissimi ma (pre)destinati al giallorosso. Metteteci poi il Dieci che fa bingo pure alla faccia di Nordhal e scomponete, se vi pare, il duecentoventicinque (si, hai capito bene idiota che hai passato anni a darlo per finito e a coprirti di ridicolo per segnalare la tua presenza al resto dell’umanità). Pure alle telecamere, in quel momento, è venuta la labirintite: l’orizzonte si è quasi capovolto, troppo forte il sisma dell’abbraccio collettivo: la panchina, lo staff, i raccattapalle e c’è pure chi ha riconosciuto la mamma e la zia, ignorando che fossero all’Olimpico. Benvenuto tra i grandi, Alessio, soprattutto perché sei stato, nell’esultare, più sereno e composto di tutti gli altri: chi s’è commosso, chi ha riscoperto l’entusiasmo, chi ha rivisto nella tua capocciata al sopracciglio del futuro una Roma di cui tornare ad essere orgogliosi. Varie reazioni con un denominatore comune: tutti ti avevamo già adottato prima del goal, forse è questo il vero sintomo della predestinazione, senza esagerare con la retorica e con gli eccessi dell’entusiasmo da cui hai dimostrato di essere già immune. Millenovecentonovantacinque di queste congratulazioni, comunque, come il tuo anno di nascita e tre di questi punti, come il tuo colpo di testa. Al di là dell’episodio centrale, cartoline sparse da ogni minuto, o quasi: la densità del Genoa nel primo tempo, prevedibile accortezza di Ballardini; l’angolino della storia alla destra di Frey, confetto che addolcisce l’Olimpico che ne ha ben donde, se mugugna; la concentrazione degli ex nella maschera di Bovo; il cipiglio di Borriello che si autocastiga dopo il rigore da manuale; la caviglia di Pjanic che fa provare dolore attraverso milioni di occhi; Osvaldo che si merita l’inquadratura soltanto quando evita di fermarsi in panchina; Totti-Perrotta: una specialità della casa, del tempo che fu e che ogni tanto ritorna, sulle ali degli esempi che forniscono le eterne carriere di quelli che non hanno mai avuto niente regalato…Poi è festa, per la storia che inizia e per quella che prosegue, fino al prossimo record, fino alla prossima scemenza che ci toccherà ascoltare dall’idiota (non un singolo personaggio ma una categoria resa sempre più patetica da un ventennio abbondante di Totti) che non si rassegna. Andreazzoli, infine: se la buona stella si sparpaglia così di partita in partita, l’ambiente si compatta al di là delle opinioni. Non sarebbe la prima volta, nella storia del calcio e non solo.

Paolo Marcacci
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