(M. Cecchini) – C’è una storia di numeri che aiutano a raccontare una storia più grande. Racconti di capitani, in questo caso, di un calcio a cavallo tra bianco e nero e colore. Da domenica prossima infatti — a meno di rinvii — Francesco Totti e Gianni Rivera si legheranno una volta di più. Non solo nel segno del «dieci» che li accompagna da sempre, ma in quello più singolare (e non meno importante) del 527: cioè le medesime presenze in Serie A. Proprio domenica, perciò, il papa laico del calcio romano aggancerà al nono posto nella classifica dei «cap» lo storico capitano del Milan. Una tappa di una scalata di cui al momento non si riesce a vedere la fine.
GOL E ASSIST «Certi traguardi in fondo sono fatti per essere battuti — dice con grande filosofia Rivera —. Francesco è infinito e poi nel calcio attuale si giocano molte più partite rispetto ai miei tempi e quindi anche questo aiuta ad accorciare i tempi. Di sicuro, però, a questi livelli si sta sempre in bella compagnia, perché ci sono tanti grandi campioni». L’ex stella rossonera sa che a unirli non c’è solo la vocazione all’assist, al passaggio smarcante, all’intuizione geniale, ma anche quella al gol. Se è vero che Totti è ormai dietro solo a Piola nella classifica dei cannonieri della Serie A a girone unico a quota 225 gol, anche Rivera non ha disdegnato di far soffrire i portieri avversari. Tra campionato e diverse Nazionali, infatti, le statistiche raccontano di 187 gol in carriera. «Sì, qualche rete l’ho fatta anche io — si schermisce Rivera, che nel 1973 vinse anche la classifica dei cannonieri a pari merito con Pulici e Savoldi — ma Francesco ormai da anni gioca praticamente da attaccante puro e quindi sa come trovare la porta. Peccato solo che abbia deciso di chiudere presto la sua carriera in Nazionale. Ai miei tempi non sarebbe mai successo».
VITTIMA PARMA Ma Totti guarda avanti, cioè a quel Parma che è la squadra contro cui ha segnato più reti in carriera: 16 in campionato e 1 in Coppa Italia.Tra l’altro, proprio contro il Parma scavalcò Pruzzo tra i bomber, chissà che domenica non sia la volta di Nordahl. «Possibile — dice Rivera —, anche perché ormai il dieci che ci ha accomunato è un numero che nel calcio attuale significa molto meno. Si vede di tutto. Non mi meraviglierei che tra poco la indossassero anche i portieri». Sommessamente osiamo sperare di no. C’è una mitologia, in fondo, che andrebbe salvaguardata perché certi racconti continuino ad avere valore.