(F. Oddi) – La data limite resta fissata a giovedì prossimo venturo, ma non siamo certo al conto alla rovescia: il 14 marzo è il termine ultimo per dare un seguito al contratto preliminare siglato con lo sceicco Adnan Adel Aref al Qaddumi al Shtewi, interessato a entrare nel pacchetto azionario del club, ma a Roma ormai da tempo si parla d’altro. Mancano i cammelli, per concludere: i maligni dicono che manchino proprio allo sceicco – termine che peraltro non vuol certo dire “nababbo”, ma “persona degna di rispetto”: praticamente è come chiamarlo “signore” – di certo, a oggi, mancano sul conto della Neep Roma Holding, la Società per Azioni che controlla il club giallorosso.
QUALE ATTESA? — E l’attesa del signore in questione sembra ai mimini storici: il mese scorso il club tirò fuori tre comunicati nel giro di cinque giorni sulla questione, l’ultimo rintracciabile sul sito è del primo marzo, e non si parla del potenziale nuovo acquirente ma della pubblicazione della Relazione Finanziaria Semestrale, al 31 dicembre 2012. Dopo l’apertura di credito della proprietà americana, lo scetticismo sulla solvibilità del soggetto interessato palesato dal socio forte (40%, mica bruscolini) Unicredit per bocca di Paolo Fiorentino (era il 24 febbraio) e il termine fissato (il giorno dopo la presa di posizione della banca) al 14 marzo, sono cominciate a correre voci e rivelazioni. Le prime, da ambienti vicine allo sceicco, ribadivano la volontà di investire, e soprattutto la solvibilità, le seconde evidenziavano aspetti quantomeno curiosi, dal passato di barista e imbianchino confessato dall’aspirante comproprietario del club giallorosso, ricusato dalla famiglia d’origine per il matrimonio con una donna italiana, dopo i primi anni da studente universitario benestante a Perugia. Tutto – sempre a suo dire – è cambiato dopo la morte del padre, che gli ha permesso di venire in possesso di un’eredità da favola.
IL FRATELLO… — Poi il Corriere della Sera ha scovato un fratello dello sceicco che vende collanine a Nablus, la città della Cisgiordania da cui proviene la famiglia, e la cosa non ha certo rafforzato l’immagine di Adnan etc etc, ancor più della vicenda del mancato acquisto del gruppo immobiliare Acqua Marcia, anni fa. Lui sostiene di aver rinunciato all’acquisto dopo aver studiato a fondo i conti, la controparte i soldi non li ha mai visti, e si è fatta un’idea ben diversa sul motivo. Nel frattempo, lo sceicco che nella periferia di Perugia viveva in due camere e cucina è sembrato scegliere con cura tutte le frequentazioni che potevano far storcere la bocca ai tifosi giallorossi: all’Olimpico, in tribuna d’onore – ma contro il Genoa non c’era, almeno non nel settore più scrutato dall’occhio dei media – è sempre venuto insieme a Michele Padovano, uno che nella capitale era ricordato con un certo fastidio per un gran sinistro da venticinque metri all’incrocio dei pali (con Cervone immobile, non certo esente da colpe) che regalò un insperato pareggio all’Olimpico a una Juventus che dopo un’ora era sotto di due gol. E che ora viene tirato in ballo per cose ben più gravi, la vicenda Donato Bergamini – il suo amico e compagno di squadra nel Cosenza che morì nel 1989 sotto a un camion, caso recentemente riaperto, e classificato come omicidio invece che come suicidio – e la condanna in primo grado a otto anni di carcere per traffico di stupefacenti. E l’ambiente romano si è già fatto sentire: l’idea che lo sceicco affidi un ruolo dirigenziale suo amico che giocava con la Juventus, e che tra le altre cose è considerato un pupillo di Luciano Moggi, non è piaciuta a nessuno.
AUTOGOL MONCALVO — Come non è piaciuta la scelta di scegliere come portavoce Gigi Moncalvo, uno che nei suoi trascorsi di direttore de La Padania con i tifosi giallorossi aveva utilizzato più la clava del fioretto: appena il giornalista ha cominciato a rilasciare interviste sulla trattativa (“che andava avanti da dicembre, prima di Natale”) c’è stata una sorta di sollevazione popolare. Tanto che poche ore dopo lo sceicco ha fatto sapere che Moncalvo “non parlava a suo nome”. Ad esempio quando diceva una frase che suonava tanto come una possibile exit strategy: “Sono pessimista sulla conclusione dell’affare. Le cose si sono messe in un modo che non c’è più la volontà del venditore di vendere”. Il portavoce è stato rinnegato, ma il messaggio ormai era cominciato a circolare. Ora che nella Capitale si parla solo delle tre vittorie di fila di Andreazzoli, del record di Totti e delle tante favole della nuova Roma, da Romagnoli al rinato Stekelenburg, gli unici che continuano a occuparsi dello sceicco di Perugia sono quelli che hanno aperto un’inchiesta in Procura. La stessa Procura che aveva indagato su Vinicio Fioranelli, uno che a parole voleva comprare la Roma e farla ridiventare grande, e che ha finito col patteggiare una condanna a un anno e otto mesi per aggiotaggio.
Fonte: gazzetta.it