(O.Beha) – Se “la Roma è una fede” e il calcio oltre che metafora bellica (soltanto metafora con quello che succede per esempio a Napoli, le auto bruciate, gli incidenti ecc.?) è anche trasfigurazione confessionale sia pure barbara, chi volete che sia il nuovo Pontefice? Ma è Papa Totti, che sta inanellando record su record. L’ultimo è aver raggiunto Nordhal, il pompierone svedese, a 225 gol proprio nel Colosseo Olimpico di Nerone, contro il Genoa. Il prossimo sarebbe lontano, l’ultimo rimasto, Silvio Piola a 274 gol (che diventano 290 contando i 16 del campionato anomalo 1945-1946, disputato su due gironi geografici e un girone finale) per diventare il massimo goleador di tutti i tempi. E via con i calcoli: se segna dodici gol a stagione (la sua media…) per altre quattro stagioni, è fatta. Ma avrebbe quarant’anni… Eppure ce la può fare, come un Coppi della sfera o un Eraldo Pizzo all’asciutto… Di più: il contesto della definitiva beatificazione sia pure in progress di Francesco I è stato quanto di più commovente potesse inventare lo sceneggiatore di tutto il creato rotondo. La festa dello stadio alla memoria e insieme al futuro, i piccoli di Totti che circondavano la loro Lupa con la maglietta d’occasione, soprattutto la circostanza per cui veniva associato al capitano evergreen il giovane Romagnoli, neodiciottenne, andato perfino in gol e da difensore. Il ricordo è corso al primo gol dei 225 di Totti in A, a 18 anni anche lui, quando il suo epigono non era ancora nato. La faccenda è particolarmente interessante perché in ballo, in eventi come questi, non c’è solo o tanto il calcio, il calciatore, la Roma ecc.
C’È PER OGNUNO il flusso del tempo, la diacronia dell’emoti – vità cui è consegnato il tifo, che altrimenti, analizzato in laboratorio, risulta la dimensione pressoché imbecille di migliaia e milioni di persone che aspettano di vedere o “sentire” fisi – camente un pallone che entra, oppure no. La festa di Totti è una cornice generazionale come ce ne sono poche, e per questo credo valga la pena di evocarne aspetti meno consumati di quelli ormai leggendari in calzoncini. Per esempio chi lo conosce bene fa coro nel descriverlo come una eccellente persona, di buona pasta, umile, non presuntuoso, mai furbo, intelligente, ironico e autoironico come la caterva di spot pubblicitari ha inoppugnabilmente mostrato e dimostrato. Non sarà laureato alla Bocconi, ma lo sa… E non è mai andato in altri club benché forse potesse guadagnare addirittura di più, perché la romanità se l’è indossata naturalmente come un gladiatore (o un reziario, se proprio avete voglia di reti…). Si è sentito spesso stretto, assediato da troppa passione, e solo questo negli anni l’ha tentato per un’esperienza all’estero, per aver un abbozzo di privacy, di vita tranquilla oltre il pallone, per poter essere certo che chi lo frequenta lo frequenta disinteressatamente come Francesco, e non come Totti, o Papa Totti da ora. Forse è quello che vorrebbe un altro giocatore di gran talento sempre di matrice romanesca, quel De Rossi che se se ne andrà sarà costretto a farlo perché in fondo, sul piano degli umori capitolini, “tanto c’è Totti”, e forse non farà in tempo a raccoglierne il testimone come quel “Ca – pitan Futuro” che era in pectore. Di certo il club non l’avrà aiutato e la Roma ci perderà comunque. Diversi come giocatori, ma con vocazione di universalità entrambi sia pure in ruoli opposti. Come ve lo immaginate De Rossi a marcare Totti?
IL QUALE TOTTI è nei numeri soprattutto un cannoniere, e nelle giocate di tecnica intelligentissima (sì, giacché esiste anche una tecnica sopraffina ma stupida, condannata alla sterilità) un vero altare dell’essenzia – lità pallonara: quando soprattutto di destro cambia di prima in ogni zona del campo facendo correre con naturalezza sapienziale il compagno di turno, bè, vedi uno spicchio di calcio com’era com’è, come sarà. Senza tempo, appunto come lui quest’anno benedetto dalla preparazione zemaniana (alla faccia dei farmaci…). Lo immagini ai tempi di Piola, o di Nordahl, e anche nel calcio del futuro o almeno di quello prossimo. Perfino certi suoi calzettoni a mezz’asta non calati come Sivori ma neppure tirati su come Rivera paiono (oltre che la bandiera di un paese abbrunato) un tributo onnicomprensivo al Dio calcio, di cui è appunto Vescovo di Roma. LE SUE GIOCATE di prima, più ancora del resto di un repertorio lussureggiante, sono il nocciolo pallonaro. Vedi il semplice nel complicato, il razionale nel farraginoso, il geometrico nell’incidentale.
Un Cruijff aggiornato, un olandese a Roma, ma con un Dna calcistico più antico e ferrato. Più fantasia, insomma, in quei calzari. E alla fin fine sono poi i Totti, rarissimi, e i tottini, già assai più diffusi, che ti tengono sveglio allo stadio o davanti alla tv in un calcio troppo spesso asfittico e burocratico. Un calcio politicamente scorretto e anacronistico, in cui i teatri bruciano e la pantomima di Quartu per il Cagliari sta diventando sempre più farsesca. Si gioca, non si gioca, a porte chiuse, aperte o socchiuse? E la regolarità del campionato in tutto ciò davvero non c’entra per nulla? Un calcio in cui un similTotti come Diamanti gioca per anni in C senza che nessuno se ne accorga (giustificazione: non si impegnava, è di famiglia ricca… interessante…). Un calcio che diseduca invece che educare se un Cassano non impara mai. Un calcio che si lamenta ovviamente di arbitraggi come quello di Milano, che per l’ennesima volta dimostra almeno due cose: in dubiis cuppis, come recitava il manuale di scopone del Chitarrella, cioè nel dubbio si avvantaggia sempre il più potente del momento (leggi il Milan contro la Lazio); e poi la polverizzazione della responsabilità arbitrale. Hanno inventato i giudici di porta oltre a tutti gli altri per buttarla in caciara decisionale ed ecco il risultato. Ma ci resta Totti…