(T. Cagnucci) – Il giorno dopo l’anniversario celebrato da tutti, il giorno del vent’anni e un giorno questo è un modo per ricordare Francesco Totti in un’altra maniera, ricordando anche chi non c’è più, ma chi c’era. E’ la storia di “Daniele il Calciatore”.E’ una storia vera che nasce insieme a Francesco, passa per Brescia e che – adesso – nel cielo non conosce prigione. «Ciao Francesco, sono Daniele. Abbiamo giocato insieme, ti ricordi?». Gli disse così quel giorno e Francesco si ricordò immediatamente di tutto. Delle partite infinite sotto i grattacieli di Torvaianica, di fronte ai supermercati, al Tre Fontane, dei Giovanissimi e degli Allievi e, forse, anche di qualche gara in Primavera. Da ragazzini Daniele e Francesco giocavano insieme. D’estate, però, non in primavera. Sulla spiaggia. Giocavano a dribblare anche, Francesco lo faceva da sempre anche a casa, col fratello Riccardo nel corridoio: a dribblare per dribblare, alla Garrincha. Non era tanto per segnare, ma per superare l’ostacolo, era solo per fare, senza meta: il gusto del gioco, il senso del calcio. Per questo Garrincha lo chiamavano “l’Alegria do povo”. Francesco e Daniele erano i più forti, vincevano quasi tutti i tornei. (…) Un giorno di qualche anno fa, era il 15 marzo del 2005, quello prima della festa del papà, ha rivisto Francesco e gli ha chiesto una cosa: «Abbiamo giocato insieme, ti ricordi?». Francesco si ricordò immediatamente tutto di Daniele Il Calciatore – si chiama così – e sorrise. Daniele Il Calciatore non era un giocatore forte come Francesco, ma solo perché nessuno era così tanto forte; era comunque una bella promessa, tanto che un tecnico bravo e galantuomo come pochi, Aldo Maldera, aveva un debole per lui.
Daniele Il Calciatore era un numero 8, un numero 8 delle giovanili della Roma, mica una cosa da poco, un centrocampista tanta grinta, alla Gattuso. Con Francesco giocò quattro anni insieme, Maldera ci credeva: «Poteva benissimo diventare un giocatore vero». Non lo è diventato. Il paragone con Totti è ingeneroso perché tecnicamente sarebbe ingeneroso con chiunque: Francesco da quella mattinata di una stranissima fine estate, in cui per la prima volta diventava un giocatore della Roma, all’esordio in serie A, ci ha messo meno di quattro anni. Un niente. Quattro anni, gli stessi anni che Daniele Il Calciatore ha giocato con la Roma. Niente? Quando Francesco è già in odore di tutto, tra via Vetulonia e Trigoria, Daniele continua a giocare lì nel mezzo, con la maglia della Roma per cui tifa. Lui è di Torrespaccata, dalle parti del Casilino, dove respiri l’area popolare e periferica della metropoli di quegli anni non ancora tristissimi come questi, ma pure un non so che di ferroso e ruggine che sa di Roma antica, di Roma romana, di certe fermate della linea B della metropolitana. I ragazzi della sala biliardo cominciano a dirgli scherzando, «ma tu quando giochi come Totti? Quando diventi come Totti?». Giocano ancora insieme nel settore giovanile anche se ogni tanto Francesco si allena coi grandi, vola in Giappone per qualche torneo internazionale, si fa tutte le under possibili dell’Italia, resta sotto quota mentre la prende. Cioè vola. Daniele Il Calciatore continua a giocare, ma poi si fa male: frattura del perone. Rimane fermo più di un anno. (…)
È il 1993 quando accade tutto. Daniele è fermo, Francesco Totti nell’ultima settimana di marzo, nella prima di Primavera, viene convocato in prima squadra da Vujadin Boskov per la trasferta di campionato a Brescia. Rondinelle. Francesco e Daniele un po’ lo sono a quell’età, in quel momento. Una è ferma al nido da tempo, l’altra va. (..) E’ il 28 marzo 1993.Francesco Totti gioca per la prima volta in serie A con la Roma. È l’esordio. È il marchio. È quello che va nell’album Panini e nell’almanacco. È la data che ti ricorderanno sempre e che ti ricorderai sempre, è la data che ti rinfacceranno gli anni quando starai per diventare vecchio… È un attimo. Un momento per Francesco raccontato già mille volte: «Boskov mi aveva detto di entrare ma io pensavo ce l’avesse con Muzzi che stava seduto…» eccetera eccetera. Due palle infinite come la storia. Una storia nota, nata a Brescia. Ecco Francesco Totti a Brescia, e chissà perché a Brescia entrava in una storia ufficiale, quella dei registri, delle copertine, dei sogni che una volta afferrati ti fanno vedere – solo in quel momento, infami – come e quant’era più bello sognare. Non date mai ad Icaro un aeroplano, potrebbe non volere più volare. È il 43’ del secondo tempo (…) Daniele Il Calciatore è preso dalla storia della sua vita che è diversa da quella di Francesco, maledettamente diversa anche dalla maggioranza dei suoi coetanei. L’infortunio e dei problemi con la giustizia, proprio mentre Francesco comincia a fare i passi pesanti nella storia, a lasciare le orme: non è più un uccellino, non è più una rondinella che svolazza a Brescia, non è solo un esordio. Totti non è solo arrivato, sta iniziando. Sulla spiaggia di Torvaianica dove giocava con Daniele… sono quelle le orme che si stanno per cancellare. Ecco, mentre Francesco si costruisce Totti, Daniele Il Calciatore è implicato in un paio di brutte storie che lo fanno allontanare da quell’amicizia, da quell’amore, che è il calcio, che è la Roma.
Accade tutto tra il ’93 e il ’94. Mentre Daniele Il Calciatore è fermo, Francesco fa un altro esordio, quello più importante: è il 16 dicembre del ’93, Francesco diventa subito Totti, contro la Sampdoria, contro un futuro mai accaduto, diventa titolare. Il giorno prima era stato mandato a farsi la doccia da Mazzone invece di parlare in tribuna stampa: «A ragazzì vatte a fa’ la doccia». È l’episodio che ricorda con maggior piacere Francesco di Mazzone, sono le parole quasi di un padre, una specie di eco di quelle che da ragazzino, sempre, gli diceva papà Vincenzo: «Ricordati che tu sei fortunato perché hai occasioni che altri non hanno nemmeno potuto avere». Oppure che hanno sprecate. Quella sera la Roma perderà ai rigori, 7-6 esattamente come contro l’Arsenal, ma non perderà la sua stella. Francesco uscirà al 37’ del secondo tempo perché è ancora troppo giovane per arrivare a quella storia: viene sostituito da Walter Lapini. Una sostituzione dà il senso dello sliding doors, chi entra e chi esce dalla storia. Di chi ci ha passeggiato per qualche minuto: «Eravamo in camera insieme, dovevamo giocare o io o lui, quella partita. In Primavera facevamo coppia fissa d’attacco, andavamo bene. Non c’era nessuna gelosia, nessuna invidia, era un ragazzo leale. Io dormivo a Trigoria, nel convitto tutti noi parlavamo di Francesco : era un fenomeno… Era un timido, parlavo sempre io, anche con le donne, almeno all’epoca era così. Siamo andati anche a scuola insieme, abbiamo preso il diploma di Ragioneria all’istituto Marconi. Quando sono arrivato ero juventino, poi giocando con lui ho scelto la Roma. Se lo so che sono il primo giocatore della storia ad aver sostituito Francesco Totti? Eh sì, è stato l’inizio della mia carriera. Poi mi sono infortunato alle ginocchia, ho giocato fino in prima categoria per passione».
È la storia di Walter Lapini, detto Lapo. (Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento…) Oggi Lapini gioca ancora a pallone per passione, per Francesco si scrivono i libri, a Daniele Il Calciatore qualcosa è cambiato. Il destino. Perché il destino li dà gli appuntamenti, eccome se li dà. Se non li capisci ti riporta lui stesso sullo stesso posto, o davanti a quelle persone, alla stessa situazione. Per fartela vedere meglio, per farti capire quello che non hai voluto vedere. O che non ti hanno fatto vedere. È un padre severo oppure un sacrosanto giustiziere. Comunque c’è. È il 1994, Daniele il Calciatore ha detto addio al calcio… (…) Anche a quello giocato a Torvaianica. Sotto ai grattacieli. Saliamoci. Da lì si vede un altro posto, lo stesso: Brescia. Saliamoci perché il 20 novembre 1994 Francesco ritorna lì, ma sta in panchina. Francesco ritorna dove tutto ebbe inizio, l’almanacco, il conteggio, il primo passo… Quella è una domenica strana, sbagliata: col Brescia gioca Bonetti, in panchina hanno Marangon, se ti metti a studiare il tabellino forse da qualche parte trovi pure Falcão… Francesco non gioca come dovesse guardare chissà che cosa. Che cosa? Sempre quel puntino: «Appena entro allo stadio io guardo la Curva Sud». Anche quel giorno fa così, e quel giorno in Curva Sud c’è Daniele, Daniele Il Calciatore che adesso fa solo il tifoso, l’ultras della Roma. Quel giorno succedono tanti casini, ci sono scontri, roba pesante, brutte conseguenze. Le conseguenze non dell’amore, o forse sì, e nemmeno possono essere solo le conseguenze di un infortunio al perone. Sono le conseguenze della vita che arrivano fin lì. A Brescia, Francesco sta in panchina, in Curva Sud c’è Daniele Il Calciatore: saranno distanti cinquanta metri non di più, si sono ritrovati dopo tempo proprio nelle occasioni in cui si ritrovavano sin da ragazzini: per una partita di pallone, per la Roma. Saranno distanti nemmeno uno stabilimento ma non sono mai stati così distanti come quel momento, come quell’attimo in cui si ritrovano dopo le partite sulla spiaggia di Torvaianica, quelle al Tre Fontane e a Trigoria. A Brescia, proprio lì dove Francesco aveva esordito, Daniele Il Calciatore viene arrestato. Così vicini e così lontani. Anni passati insieme, anni divisi e ritrovati in mezzo pomeriggio solo per capire come la differenza la facciano veramente i centimetri. Le vite. Non solo ogni maledetta domenica, ma ogni maledetto giorno. La storia finisce qui, perché poi lascia spazio alla quotidianità. Ad altre storie, ad altri sbagli, ad altri arresti, agli amori, alle rinascite, ai figli, se ci sono. Alla vita. Ecco perché quel giorno Daniele Il Calciatore gli dirà: «Ciao Francesco, ti ricordi di me? Abbiamo giocato insieme». E Francesco gli risponderà di sì ricordandosi immediatamente di tutto. Io c’ero quel giorno a Regina Coeli. Francesco era andato a trovare i detenuti per fare un regalo a chi è papà là dentro. Perché ci sono anche i bambini di chi sta in galera, perché anche chi sta dentro ha diritto ad avere un futuro, perché soprattutto i bambini hanno diritto ad averlo, e ad avere la loro festa del papà. Non esiste un bambino che non sia innocente al mondo, che non abbia diritto a un regalo, a un sorriso. I governi dovrebbero avere solo questo dovere.
Francesco quel giorno gliene ha portati, di regali e di sorrisi, ma non era solo quello. Avreste dovuto vedere quando è entrato e l’effetto che fa Regina Coeli, le facce, i muri, il sole che resta fuori, il bianco che fa freddo dentro: ci stanno le rotonde e i cancelli, ha la forma veramente dei gironi all’Inferno di Dante, tra un’immagine della Madonna e qualche targa che ricorda la visita di qualche Papa. Avreste dovuto vedere quei papà coi loro bambini. Ce n’era uno che era un minuscolo e Francesco se l’è preso in braccio. Avreste dovuto vedere la faccia dei settanta detenuti che stavano lì dentro. Era la prima volta che le loro famiglie entravano lì. C’era Cristiano che cantava l’Ave Maria di Schubert: tre mesi dopo Francesco l’avrebbe voluta per il suo matrimonio. «Dovete stare tranquilli e fare il bene di tutti», disse Francesco a loro – era arrivato alle 11.40 a Trastevere anticipando l’allenamento da solo – che se lo abbracciavano o lo salutavano, felici, incuriositi, alcuni orgogliosi, uno a uno. Poi capitò a un ragazzo che aveva la sua stessa età e due bambini in braccio belli come il sole, si chiamava Daniele. «Ciao Francesco, ti ricordi di me abbiamo giocato insieme nella Roma?». Daniele Il Calciatore era il numero 8 della Roma, prometteva bene, Maldera era convinto del suo destino da campione, ma poi un giorno si ruppe il perone. Giocava con Totti a 12 anni a Torvaianica, davanti ai grattacieli. A Brescia. A Regina Coeli. «Era il mio sogno giocare nella mia Roma, la mia squadra del cuore. È andata in un altro modo, peccato». Francesco all’improvviso si ricordò tutto e gli disse: «Tu sei stato solo più sfortunato di me». E sorrise. Un anno dopo si sarebbero rivisti per una trasmissione. Daniele Il Calciatore gli fece quasi la stessa domanda: «Francesco ti ricordi? Che gioia rivederti, me la firmi la maglia?». Francesco «No, firmala tu, che me la porto a casa. La mia ce l’hai già, questa la voglio tenere io». Era la numero 8 di Daniele Il Calciatore mica una maglia qualsiasi, la maglia di un’amicizia, di un ricordo, di un’orma, di un altro tipo di camminata nella storia o sulla spiaggia. In quel momento Francesco Totti non ha rifiutato il destino dell’altro, è come se lo avesse abbracciato, come se glielo avesse restituito: quello di un ragazzo, di un papà, che ha sbagliato e che ha pagato, che ha sofferto e che ha sognato. È stato lo scambio maglia più bello della storia del calcio. Il dribbling più bello fatto al destino, uno di quelli degni di Garrincha, di quelli che cercava sempre di fare Francesco, anche a Daniele, tanto per giocare, per questo Garrincha si chiamava Alegria de povo.
Si dice: se chiedete a un brasiliano chi è Pelé si toglie il cappello per l’ammirazione, se chiedete di Garrincha si mette a piangere. Anche quella è la storia di due destini. Garrincha era Mané, l’uccellino, lo scricciolo perché fragile e gracile, perché aveva una gamba più corta di sei centimetri rispetto all’altra. Quand’era piccolo gli avevano detto che non avrebbe mai potuto giocare a calcio, che avrebbe fatto fatica a camminare: divenne il più grande dribblatore del mondo, per sempre. Il suo dribbling aveva la caratteristica delle sue gambe (la sinistra verso l’esterno, la destra verso l’interno, come piegate dal vento) indecifrabile, magico, e sulla spiaggia lasciava due orme diverse, opposte e parallele: come i destini di Francesco e Daniele. Quello di Garrincha finì a 49 anni in un letto d’ospedale, solo, alcolizzato e dimenticato, dopo aver chiesto al Presidente di realizzare un desiderio: «Liberate quell’uccellino dalla gabbia». Poco prima venne anche in Italia a giocare a calcio, per soldi, per bere, per vivere o per morire non faceva più differenza per lui. Era a metà degli anni Settanta. Forse il ’76. Lui che era il Brasile accettò persino un ingaggio con una squadra dopolavoristica vicino Roma, sul litorale. A Torvaianica.