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IL ROMANISTA La favola con lieto inizio

Romagnoli

(V. Meta) – Quando Totti segnava il suo primo gol all’Olimpico contro il Genoa, il 26 ottobre 1994, Alessio Romagnoli non era ancora nato, ma stava per arrivare. Diciotto anni e quattro mesi dopo, può dire di aver condiviso con lui il tabellino che verrà ricordato come quello dell’aggancio a Nordahl. «Non lo so spiegare com’è stare accanto a lui in una serata così. Lui è unico».

Non è mai stato un chiacchierone, Romagnoli, figuriamoci adesso che è diventato il primo ’95 ad andare a segno in Serie A bagnando con una rete pesantissima il suo esordio da titolare. «Faccio ancora fatica a realizzare – le sue prime parole a Sky – . Ho abbracciato tutti i miei compagni senza capirci molto. Una serata così è il massimo, non me l’aspettavo e la dedico a mio padre e mia madre». Per viverla, una serata così, ha saputo aspettare il suo momento passando attraverso tre mesi in cui per vedere il campo gli toccava andare in nazionale, il debutto in Coppa Italia ha fatto poco rumore, molto di più i venti minuti finali contro il Milan, esordio in A a diciassette anni e poteva andare meglio. Quando il provino di Marquinhos ha dato esito negativo, Andreazzoli non ci ha pensato un attimo a consegnargli una maglia da titolare (la numero 46, in omaggio a Valentino Rossi), perché, spiegava alla vigilia, «Romagnoli mi offre tutte le garanzie che mi servono».

E che la fiducia fosse ben riposta è apparso chiaro già dopo sette minuti, quando Alessio si è presentato con un anticipo secco al limite dell’area suBertolacciPulito, preciso, perfetto. Non ha perso la testa neanche nella complicata seconda parte di primo tempo, con Borriello e Bertolacci che sbucavano da tutte le parti e Burdisso che ogni tanto ci si metteva pure lui con qualche appoggio pericoloso. Perfetto. Come quel colpo di testa, così solitario che non ci credeva nemmeno lui, che pure si era spinto in area genoana proprio per far valere i centimetri. Non ha dovuto neanche saltare più di tanto, gli è bastato girare senza guardare, gli occhi erano aperti ma non hanno visto dove andava la palla, solo dov’è arrivata, alle spalle di un Frey uscito malissimo.

Fermo immagine. Lui che non si capacita e per un lunghissimo secondo guarda la porta, i compagni che hanno capito quello che è successo e rinunciano a chiedersi come sia stato possibile, gli corrono addosso, lo sommergono, l’ultimo a lasciarlo è Daniele De Rossi, l’ultimo (ex) ragazzino della Primavera cui fosse capitato di far coincidere esordio dal primo minuto all’Olimpico e primo gol in Serie A. Era il maggio 2003, Romagnoli aveva otto anni e da cinque i suoi lo avevano spedito a scuola calcio perché la smettesse di sfasciare il salotto. E allora non poteva che essere la sua l’ultima carezza per Alessio, insieme a un lungo sguardo che aveva dentro di tutto e un sorriso quasi più emozionato che divertito. Al 90’ lo reclamavano le televisioni, Alessio si destreggia come può mandando avanti quelle sue fossette da bambino. «Non mi sarei mai aspettato un esordio così. Non si era mai vista una panchina tutta in campo dopo un gol? Beh, che dire… sto in un gruppo stupendo, ma non solo nei miei confronti. Non lo so spiegare».

E sì che per calarsi nel ruolo del centrale cattivo sta provando pure la via dei tatuaggi (ne ha uno in divenire che gli coprirà il bicipite destro), anche se poi per neutralizzare gli inserimenti di Bertolacci, quello che più spesso si trovava dalle sue parti, gli sono bastate testa e tecnica, proprio le qualità che a Trigoria gli ha sempre riconosciuto chi lo ha allenato, da Tovalieri che lo prese bambino, a Montella che ne fece il leader dei suoi Giovanissimi, a Stramaccioni che lo considerava un ’94 ad honorem, fino ad Alberto De Rossi, che l’anno scorso sospirava quando era costretto a lasciarlo in panchina. D’altra parte, gli esordi sono un po’ la sua specialità. In Primavera ha debuttato sotto età in un derby aFormello, in azzurro gioca con i ’94 ormai da due anni, nella Roma ha saltato la Primavera passando direttamente a Zeman, che se l’è portato a Riscone e poi non l’ha più lasciato andare. Per fargli vivere una notte come questa.

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