Saremmo allo stesso tempo un po’ marziani e un po’ incoscienti se non prendessimo atto che nelle viscere della nostra società circola un malessere che produce gli effetti esiziali di un veleno quotidianamente ingerito. Corre sottotraccia come un piccolo fiume carsico. E’ evidente che il calcio da questo contesto non può astrarsi: non ci sono torri d’avorio, al riparo da tutto e da tutti. Roma, poi, da Capitale, per il suo valore fortemente simbolico e la sua straordinaria immagine internazionale, è fortemente esposta. Chi ci vive lo sa bene, da tempo, dagli Anni di Piombo in poi. Ecco perché quel che è accaduto ieri obbliga tutti a riflettere anche sulle nostre cose, a cominciare dalla finale di Coppa Italia, da quel derby che si annuncia avvincente sul campo e che i responsabili dell’ordine pubblico, per una serie di precedenti e di coincidenze, temono. Da un paio di settimane va avanti questo negoziato che coinvolge la Lega, la Questura di Roma e, soprattutto, il Prefetto, principale garante dell’ordinato svolgimento degli appuntamenti pubblici.
Lì, per quanto sia accesa la rivalità con il Bayern di Monaco, non avrebbero difficoltà a organizzare una finale di Coppa di Germania senza far ricorso a un negoziato da Nazioni Unite. Questa trattativa trascinandosi da quasi due settimane ha assunto caratteri un po’ stucchevoli e, dopo quello che è avvenuto ieri e che ci riguarda come cittadini e come appassionati di pallone, anche irrilevanti. Il rispetto che bisogna portare a chi sulla strada rischia la propria vita per proteggere la nostra, deve indurci a prendere atto della realtà. E la realtà è un Prefetto, Pecoraro, che ha deciso da tempo: finale domenica 26 maggio con fischio di inizio alle 17. Il calcio può avere le sue buoni ragioni per chiedere di cominciare alle 21 ma, osservando il mondo che ci gira attorno, probabilmente quelle del Prefetto sono anche più fondate.
Fonte: Corriere Dello Sport