(F. Monti) – Va avanti la Roma, che, nel segno di Destro (doppietta in rimonta dell’ex) trova la Lazio in finale di Coppa Italia (26 maggio, salvo correzioni di data), in fondo a una partita prima sottovalutata e poi riconquistata con il gioco. Per la terza volta nella storia, la coppa sarà risolta da un derby e l’evento non accadeva dal 3 luglio 1977 (Milan-Inter 2-0). L’Inter ha cercato l’impresa finché ne ha avuto la forza, le energie, l’aggressività per restare in partita. Ha dato il massimo, ma senza un’intera squadra titolare, senza attacco, senza gli uomini capaci di fare la differenza, è impensabile battere una Roma ricca di talento e di qualità.
E se nell’annata i giallorossi hanno battuto l’Inter tre volte su quattro (a San Siro in campionato e due volte in Coppa Italia), con Zeman e con Andreazzoli, un motivo ci sarà. È inutile stupirsi che l’Inter abbia mancato la finale o rischi di restare fuori dall’Europa; bisognerebbe chiedersi perché si sia presentata a uno degli appuntamenti decisivi della sua tormentata stagione una squadra con i cerotti. Del resto la serata era cominciata con il forfeit di Cambiasso, che si è bloccato nel riscaldamento sul prato, per un problemaalla gamba sinistra. Ha giocato Jonathan, che, sorprendendo tutto San Siro, ha messo la firma dopo 21 minuti su uno dei più bei gol visti nella stagione, uno schema stile Barcellona (senza esagerazione), con i colpi di tacco di Alvarez e Rocchi, per la conclusione nell’angolo del brasiliano, che ha bruciato sul tempo De Rossi.
Il vantaggio interista è apparso anomalo, perché, vista dall’alto, la Roma avrebbe avuto a disposizione soluzioni e spazi per colpire e chiudere la gara, rubando palla in mezzo al campo e andando via per linee verticali. Invece, dopo un intervento decisivo di Handanovic su Florenzi (in anticipo su Marquinho), i giallorossi non hanno più insistito, lasciando che l’Inter, con Rocchi, si avvicinasse addirittura al raddoppio, con Alvarez sempre pronto a creare problemi agli avversari, con giocate molto personali, ma efficaci. È emersa la volontà dell’Inter di non arrendersi agli eventi, soprattutto quando la Roma, nel finale di tempo, ha ripreso in mano la partita, con Handanovic determinante prima su Destro, poi su una specie di rigore di Florenzi. La Roma ha ricominciato da dove aveva lasciato,ma con il baricentro più avanzato, maggiore aggressività, più voglia, una velocità superiore e con un cambio obbligato, ma importante: fuori Florenzi (caviglia) per Balzaretti.
Così la Roma ha trovato il terzino che nel primo tempo le era mancato, mentre l’Inter ha cominciato a battere in testa e a dare i primi segnali di cedimento strutturale. Troppo alto il ritmo del primo tempo, troppe energie anche nervose per contrastare un avversario più forte. Totti ha sfiorato il pareggio, Samuel ha salvato con il corpo su Torosidis, ma quando Lamela ha pescato Destro, in gioco, è stato facile per l’ex interista rimettere la partita in equilibrio, prima di chiudere i conti con il raddoppio al 24’ (assist di Balzaretti).
Che poi l’Inter prenda sempre gol nella stessa maniera, dopo nove mesi di lavoro, non è un elemento consolante per chi la guida, ma ormai è tardi per pensarci. La rete di Torosidis è stata una prodezza personale, che ha sottolineato la sproporzione delle forze in campo, nonostante il gol maligno di Alvarez, quello del 2-3. I nerazzurri hanno raccolto l’applauso sotto la curva Nord; per molti giocatori questa semifinale è stata un saluto a San Siro. Il passo d’addio.