Il silenzio è un’arma (difensiva), lo schermo costruito ad arte dietro al quale attendere: meditare, gente, meditare,e Walter Mazzarri ha cominciato a farlo sei mesi fa, in un ottobre interiormente indecifrabile, tra le lusinghe del recente passato partenopeo e la scelta di rimettersi in gioco persino con se stesso: «Può darsi che mi fermi, che decida di prendere un anno sabbatico».
Il tempo è stato regolarmente un galantuomo ed ha ricucito le personalissime ferite da stress, quella fatica divenuta l’insostenibile pesantezza per un essere umano che vive tutto in maniera ossessiva: sessantanove punti in classifica, la (seconda qualificazione in) Champions che ormai sembra a portata di mano e un futuro che va (ri)costruito sul proprio presente, sul proprio vissuto, su ciò ch’è stato di Walter Mazzarri: «Sì, è vero, è assai più semplice riuscire a programmare su un terreno già arato. Bisognerà però attendere che finisca la stagione o che si raggiunga la aritmetica certezza della qualificazione. Ed a quel punto saprete».