(P.Mei) La maglia del Coni, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, è, ovviamente, azzurra. Blù Savoia, a dire la verità e facendo riferimento al colore degli atleti che ovunque rappresentano, con un successo che non sempre arride a noi italiani negli altri campi della vita, l’Italia nei campi dello sport. Ma poi, sotto la maglia ufficiale, c’è, come nel caso di molti giocatori, la maglia del cuore.
I COLORI – Così nel Palazzo H, quell’edificio che affaccia sul Tevere all’altezza del Ponte Duca d’Aosta, al fianco del vialone che porta alla famosa Palla dove ci si dava (e forse ci si dà ancora: ma con la tessere del tifoso, il biglietto nominale e altre diavolerie magari è cambiata anche questa abitudine insieme con quella di andare allo stadio), lì, al primo piano, scalone a sinistra, corridoio della presidenza, la maglia segreta ha avuto altri colori.Il più recente vicino all’azzurro era il bianco.
Nessuno è disposto a giurare sulla squadra del cuore di Giluio Onesti che, limitandoci al dopoguerra, fu il primo a governare al Coni: doveva andarci per liquidarlo e lo tenne in vita e fece prosperare. Forse, dicono i bene informati, aveva un debole, ma piccolo piccolo, per il Toro. La sua più memorabile entrata nel mondo del calcio fu quando etichettò i presidenti di società come “ricchi scemi”.
Poi vennero gli anni alla milanese, con Franco Carraro rossonero e Arrigo Gattai interista.La Juve mai: non ne aveva bisogno, il potere calcistico era altrove.
LA NOVITÀ – E seguì il ventennio laziale: perché laziale era (ed è; cambiare squadra del cuore è un esercizio riuscito a pochissimi, forse soltanto a uno: si favoleggia di Emilio fede, juventino d’origine e poi folgorato come una qualunque olgettina sulla via di Arcore) Mario Pescante e laziale Gianni Petrucci.
Il quale, per la verità, ha anche vissuto una parentesi romanista, non di tifo ma di lavoro, quando divenne, per breve lasso di tempo, vicepresidente della Roma ai tempi di Ciarrapico.
Può darsi che il cuore sanguinasse all’epoca, ma del resto non è stato ne è il primo caso di laziale professionalmente impegnato per la Roma, o viceversa, se sospetti di “giallorossismo” hanno accompagnato perfino l’attuale numero uno biancoceleste, Claudio Lotito.
Che naturalmente smentisce. E laziale era, ed è, naturalmente, Raffaele Pagnozzi, che del Coni è stato segretario generale e che di recente è stato candidato alla presidenza.La loro lazialità non ha impedito diatribe senza fine con la Lazio: questioni di condominio e canone d’affitto.
L’ALTRA SFIDA – Ma alle recenti elezioni del Coni s’è svolto anche un piccolo grande derby: e hanno vinto i romanisti. Giovanni Malagò è il primo presidente giallorosso a memoria d’uomo al vertice dello sport italiano. E tifoso della Roma è anche il suo segretario generale, Roberto Fabbricini, Ora Petrucci e Malagò dovranno vivere il derby alla rovescia: il primo potrà dare libero sfogo alla sua lazialità, senza curarsi più di tanto, se non per ragioni di fair play, del comportamento; il secondo, invece, habitué della tribuna dell’Olimpico con tanto di sciarpone, giallorosso ereditario, afferma che lo vivrà “con il cuore di sempre, perché non si può essere ipocriti”, ma la sua partecipazione dovrà necessariamente essere “più contenuta”: sono i sacrifici che il ruolo istituzionale impone.
Insomma se penserà quel che gli sarà pur capitato di pensare qualche volta a proposito di un fischio d’arbitro dovrà tenerselo per sé, mentre Gianni Petrucci potrà finalmente farlo vedere, anche se non è il tipo da lasciarsi andare ad emotivi pubblici coinvolgimenti che pure sono di casa nella tribuna d’onore, ex “salotto buono” (specie dopo il taglio delle tessere gratuite).
Il gesto dell’ombrello è una sobria manifestazione: ma del resto agli onorevoli abbiamo visto far di peggio in Parlamento. E le virtù di certe signore sono sempre in discussione: ora che gli arbitri sono sei c’è di che sbizzarrirsi.