(V. Cerracchio) – Lazio malissimo, Roma malino. Non resta che augurarsi che tra un mese sia tutto cambiato: l’Olimpico non merita una finale di coppa tra deluse, l’ultima spiaggia per arrivare in Europa. I problemi, certo, sono diversi. Biancocelesti in caduta libera: Petkovic si è ritrovato una squadra stracotta, un organico insufficiente, differenze abissali tra titolari e rincalzi. Per i giallorossi, che si consolano con il sorpasso in classifica dopo 87 turni di campionato, il problema è per ora limitato alla sufficienza con cui hanno affrontato il Pescara retrocesso, inceppandosi in un’area intasata di difensori altrui e di punte gettate nel mucchio.
Se si considera che la Roma era staccata di 10 punti dalla Lazio all’addio di Zeman, il lavoro di Andreazzoli ha portato i suoi frutti. Ma molto c’entra il passo da retrocessione di una rivale capace di racimolare appena 12 punti nell’intero girone di ritorno peraltro iniziato con una vittoria e confortato dall’approdo alla finale di coppa nella memorabile sfida con la Juventus. Cosa sia accaduto da allora in campionato alla Lazio è sotto gli occhi di tutti: se hai in rosa un solo cursore, Gonzalez, e devi impiegarlo anche da terzino per l’insipienza tecnica dei dirigenti, la risposta è già scritta. L’anagrafe di mezza squadra fa passare in secondo ordine la sfortuna: Klose, Konko, Ederson, Dias, Mauri erano a rischio infortuni già in partenza. Lotito e Tare dovevano esserne coscienti ma di investire sui giovani neanche a parlarne, meglio l’instant-team imbottito di stranieri bolsi. Hernanes eLedesma sono spremuti come limoni, Onazi acerbo, altri impresentabili. Il rischio grosso è lasciarsi andare sperando di tornare nel derby quelli dell’andata.
Rischio che corre anche la Roma, che ancora deve vedersela con Fiorentina, Milan e Napoli, squadre che alla Champions credono con fermezza, rimediando con grinta anche alle proprie leggerezze. Solo così hanno fatto il vuoto dietro la Juve.