(T. Cagnucci) – Quando gioca la Roma c’è sempre almeno un momento in cui sei contento con te stesso di ritrovarti lì per l’ennesima volta a vedere ’sta squadra che certe volte è soltanto incomprensibile. Un battito in più. Ce l’hai sempre anche per un Torino-Roma che sì poteva e doveva valere per la professionalità, l’obbligo morale, un posto un po’ più al sole in classifica eccetera eccetera ma che sinceramente eccitava quanto l’idea di baciarsi la sorella. C’è sempre un motivo, anzi c’è sempre una ragione ed è proprio quella che si canta: la Roma in fondo al cuore.
Perché ieri per il 98% dei commentatori radio televisivi, per gli utenti “normali” di questo mondo Torino-Roma al vecchio-nuovo Comunale (non chiamatelo Olimpico per favore) valeva solo per un mezzo posto in Europa League o per vedere l’effetto che fa rivedere l’Osvaldo furioso in campo, per chi la Roma ce l’ha dentro e quel battito non se l’è mai perso. Invece era una partita particolare, addirittura la partita più attesa degli ultimi tre anni, la partita aspettata mille giorni. Non è un’esagerazione, si può fare la conta: era il 16 maggio 2010, stavamo in ventimila sul balcone di Verona, mille e sessantaquattro giorni fa. Mille giorni di me senza te, mille giorni di tessera senza tessera, mille giorni senza i tifosi tutti, tutti liberi (roba da articolo 21 della Costituzione) al seguito della Roma. Si può amare anche da lontano, anche senza vedersi per tutto questo tempo ma poi quando ti rivedi è un tuffo dentro al cuore. E ti prepari a dovere, semplicemente andandoci. Essendoci. Tu che ci sei sempre stato anche quando lei non ti vedeva. “Certi amori non finiscono fanno dei giri immensi e poi ritornano…” c’era scritto nel settorino di Torino. In rima. Una dichiarazione che vale di più della citazione. Certi amori non finiscono…
La Roma doveva vincere soprattutto per questa ragione e ieri lo ha fatto. In questo ha fatto la Roma e non è poco, ma per il resto non è successo niente. Dopodomani a Milano che, si sa, è lontana dalla mia terra, la Roma deve andarsi a prendere un’altra partita particolare, la più attesa e la più aspettata da più di mille giorni. Da sempre. Deve andare a rigiocarsela perché l’ultima volta l’ha fatto a metà, deve andare a farlo per quella gente che stava là, per chi c’è, per chi ci sarà. Roma-Lazio la devi rigiocare anche per dimostrare che Roma è una città civile (noi siamo la capitale), per chi come ieri s’è affrettato a far sapere che dopo gli incidenti del derby i tifosi della Roma hanno accoltellato due tifosi granata, con la smania di chiudere le porte in faccia ai cosiddetti ultrà (colpevoli sempre di tutto), la retriva medievale nostalgia di tessera del tifoso in questi tempi senza passione. Non è vero niente. I problemi sono capitati fra gruppi granata prima della partita. Certi amori non finiscono fanno dei giri di quasi cinquecento chilometri e poi tornano a casa a rivedersi il gol di Lamela. Certi amori fanno paura più dei coltelli a volte, perché sono grandi, perché sono difficili da spiegare proprio come lei, la Roma che comunque anche per un Torino-Roma che vale poco o niente è... “sempre l’unica, straordinaria, normalissima, vicina e irraggiungibile, inafferrabile”. Incomprensibile.