(D.Galli) – Ce l’eravamo dimenticata. Era l’ultima domanda, eppure la prima. La più importante. La risposta è quella che spiega il tutto, che dà il senso del tutto, perché il tutto – questa intervista – nasce, vive e muore per il tutto. Per lei. Per la Curva Sud e per chi la pensa come lei, per chi non si è tesserato perché tesserarsi significava tradire se stesso, i suoi valori, i suoi sentimenti. Cos’è la Curva Sud, Carlo Feliziani? Eccola, la domanda. L’intervista è a lui, il responsabile della biglietteria della Roma, il regista di un’operazione straordinariamente difficile: convincere l’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, e quindi il Ministero dell’Interno, ma più in generale il movimento-calcio, che in totale sicurezza si poteva superare uno scoglio che pareva finora insormontabile: trasferte aperte solo a chi ha in tasca la tessera del tifoso. L’equazione era fatta, scontata e assolutamente sbagliata, lo dicono i fatti, gli scontri, che sono continuati – tendenzialmente non più tra ultras, ma tra ultras e polizia – anche dopo l’introduzione di questa patente del settore ospiti: i tesserati sono i buoni, i non tesserati sono i cattivi. Le generalizzazioni generano mostri e talvolta, è il caso della tessera del tifoso, il mostro genera insani ricavi sulla pelle e a insaputa del tesserato. La Roma è andata oltre. Dopo il capolavoro della Home, la carta che aggirava il maroniano-celodurista divieto di abbonamento per i non tesserati, ha saputo convincere il Viminale che con una carta sana, la Away, avrebbe potuto riportare la sua gente in trasferta. L’intervistato è lui, la domanda è questa: cos’è la Curva Sud per Carlo Feliziani? Glielo chiediamo via sms, perché nella mezzora di conversazione si affrontano tutti i temi che riguardano la Sud, tranne l’idea stessa della Sud. Cos’è? Ci pensi con calma, Feliziani, poi ce lo scriva. È la richiesta del “Romanista” e di ogni romanista.
La risposta, eccola. «C’è poco da pensarci. Come si fa a descrivere la Curva Sud in due parole? Impossibile. Senza cadere nei soliti stereotipi o peggio nella retorica, è però sicuramente l’anima della Roma, l’energia vitale che raggiunge e permea tutte le componenti del club, origine e destinazione dei pensieri di tutti i tifosi della Roma. Che dire di più?». Nulla.
Feliziani, cosa accadrà il 4 aprile?
“Inizieremo a poter emettere questa nuova fidelity card. Si chiama As Roma Club Away, darà l’opportunità a tutti i tifosi della Roma che la richiederanno di poter andare in trasferta, con modalità più snelle della precedente, che invece obbligatoriamente richiedeva il possesso fisico della Privilege”.
In cosa è differente dalla Privilege?
“Nella tecnologia. Può essere emessa in tempo reale, ci vogliono tra i 6 e i 10 minuti. Per la Privilege era assolutamente impensabile: servivano tra i 30 e i 40 giorni e sempre che non si fossero verificati problemi di spedizione. Poi non presenta quegli orpelli che appesantivano decisamente la Privilege, e parlo del codice RFID, del microchip e soprattutto del circuito bancario. È una tessera veramente “light”, asciugata di tutto quello che non serve per fare un’unica cosa: andare in trasferta”.
Il circuito bancario. La tessera del tifoso era diventata solo uno strumento commerciale.
“Moltissime società, tra il 2009 e il 2010, con l’obbligo di introduzione della tessera (da parte del Ministero dell’Interno, ndr), pensarono di sfruttarne tutte le potenzialità: raccolte punti, sconti e circuiti bancari appunto, con la possibilità di trasformarle in carte di pagamento, anche se non richiesto direttamente dalla persona. La Roma fece una scelta diversa: diede certamente la possibilità di far diventare la Privilege una carta di pagamento, ma solo se lo desiderava espressamente l’interessato. Ogni club però sviluppa le proprie strategie in completa autonomia”.
Però i furbetti sono stati puniti dal Garante per la privacy, che ha sanzionato quei comportamenti scorretti. Voi no.
“Noi no, perché la nostra era una tessera che poteva diventare una carta di pagamento soltanto se il richiedente la voleva attivare. Serviva una manifestazione di volontà ben precisa: bisognava recarsi in un apposito punto vendita e compilare un determinato modulo. La tessera non veniva data già con quelle caratteristiche. Era un’opportunità che qualcuno ha voluto sfruttare e qualcun altro no”.
Quante As Roma Club Privilege sono state emesse da allora?
“Circa 35 mila, ma non tutte sono attivate come circuiti di pagamento. Evidentemente, sono state fatte valutazioni differenti”.
Qual è la percentuale di tessere del tifoso trasformate in carte di credito?
“Posso dire che è molto bassa”.
Dunque, come strumento commerciale si è rivelato fallimentare.
“Non è che è stato fallimentare. Per espressa volontà dell’As Roma, si è deciso di non utilizzarla sotto questo punto di vista. La tessera del tifoso avrebbe potenzialmente delle possibilità di sviluppo commerciale enormi. Il circuito bancario è a discrezione della persona, ma il fatto di non legarla fino a questo momento – che so – a dei concorsi a premi o ad altre iniziative di merchandising e marketing è stata una precisa scelta del nostro club. Poi, mi ripeto, le altre società sono libere di gestirla come meglio credono”.
Perché la Away costa 20 euro, 5 in più della Privilege?
“Per la tecnologia. È molto innovativa. Comunque a conti fatti il prezzo è lo stesso, perché questa non ha bisogno di acquistare la fototessera: viene scattata dalla webcam del punto vendita”.
Come percorsi, è stato più difficile realizzare la Home o la Away?
“Si è trattato di due approcci diversi. La Home è stata più complicata perché quanto a tecnologie eravamo in un momento di passaggio e poi andavano superate alcune barriere, più che altro di tipo psicologico: erano partite da poco le campagne abbonamenti con l’obbligo della tessera del tifoso e bisognava “convincere” della bontà della nostra iniziativa. In questa seconda fase c’era però da abbattere un altro tabù psicologico, quello delle trasferte. D’altronde i due pilastri su cui si basava la tessera del tifoso (quelli maggiormente contestati peraltro, ndr) erano proprio quelli, abbonamento e trasferte possibili solo per i tesserati. In un anno abbiamo realizzato due diverse fidelity card che hanno in pratica affiancato, potendola sostituire almeno per quanto riguarda questi due specifici aspetti, la tessera del tifoso”.
È vero che avete incontrato resistenze da parte di qualche club?
“In effetti sì, fin da quando abbiamo realizzato la Home. Purtroppo, a volte nel calcio quello che è innovativo viene recepito nella maniera sbagliata. Invece è logico che per migliorare occorra avvalersi delle nuove tecnologie. Poi comunque il tempo fa il suo corso e si intuisce la forza di certe iniziative. La miglior controprova è che gli altri club adesso si avvalgono di quanto è stato studiato, proposto e finalizzato dalla Roma. È successo con la Home. C’è addirittura chi ha dato alla card il nostro stesso nome. Ma di questo andiamo assolutamente fieri. Credo che accadrà la stessa cosa con la Away”.
Si è mai chiesto perché Lotito si sia fregiato dell’invenzione della Home?
“Non lo so. Basta leggere le cronache e i comunicati che testimoniano la “primogenitura” della Roma, ma francamente non mi sembra neanche una cosa così importante. Siamo solo lieti che le altre società se ne siano avvalse. La Roma può essere benissimo un centro di sperimentazione, può partire da noi un’idea, poi però è tutto il movimento che se ne può giovare”.
Perché avete deciso di seguire una strada che, potenzialmente, avrebbe potuto portarvi allo scontro con le istituzioni e con le altre società di A?
“Non abbiamo mai considerato le nostre iniziative come un qualcosa di negativo, da proporre in contrapposizione con qualcuno o con qualcosa. Anzi, tutti i nostri percorsi sono stati condivisi. Specie questo della Away. Sono stati necessari dei contatti, degli scambi di idee, delle spiegazioni. Questo provvedimento, poi, va proprio nella direzione auspicata dall’Osservatorio. E mica da un giorno, ma da un anno. Basta andarsi a rileggere la famosa determinazione del febbraio 2012 (l’allegato tecnico della n° 6, potete leggerla su osservatoriosport.interno.gov.it, sezione determinazioni, ndr), dove partono una serie di indicazioni, di auspici, che secondo me andavano colti. E noi li abbiamo colti, prima con la Home, poi con la Away. Devo dire la verità, a livello istituzionale (l’Osservatorio, ndr) abbiamo collaborato con diverse persone tutte davvero in gamba”.
Campagna abbonamenti. Quando si parte?
“Ci stiamo lavorando. Come l’anno scorso, cercheremo di anticipare di molto i tempi. Nel 2012 partimmo a maggio. Per cui è probabile che il periodo di riferimento sia quello, o forse anche prima. Stiamo ultimando alcuni passaggi, stiamo chiarendo determinate questioni. A breve faremo comunque dei comunicati”.
Perché nuovamente così presto? Anzi, ancora più presto?
“Dobbiamo dare sempre più servizi ai nostri tifosi. Vogliamo rendere loro la vita più facile. L’anno scorso abbiamo ricevuto delle critiche per delle tempistiche limitate, per esempio nell’operazione di cambio posto. Ne abbiamo parlato in seno alla società e abbiamo deciso quindi di allungarle, queste tempistiche. Stiamo sviluppando un calendario migliore”.
Una volta ci si abbonava sotto al sole di luglio e c’era chi doveva tornare apposta dalle vacanze.
“Esattamente. È il motivo per cui l’anno scorso abbiamo iniziato a maggio, primi in Italia. Non lo facciamo comunque per una questione di “leadership”, ma per una questione di rispetto verso i nostri abbonati”.
Per la Sud c’è una lista d’attesa.
“Sì, “una waiting list” che viene gestita direttamente dal Centro Servizi. Per quanto riguarda la campagna abbonamenti posso già anticipare che ci sarà una fase di prelazione piuttosto lunga”.
Questione prezzi. Ci sono novità?
“La Tevere costa un po’ troppo, onestamente. È uno degli elementi su cui stiamo ragionando. Quello che posso dire è che recepiamo sempre ogni indicazione. Per la Tevere sono state fatte delle considerazioni, l’anno scorso. È stata eliminata la divisione tra laterale e centrale e sono state quindi rivisitate le tariffe, tenendo conto appunto di questa novità. L’esperimento ci ha dato ottimi risultati, quindi sicuramente lo ripeteremo. Comunque, sappiamo qual è il settore che può aver sofferto maggiormente. E lì interverremo”.
Possiamo dire che il Distinti Famiglie è invece quello che vi ha dato più soddisfazioni?
“Sicuramente sì. Lo consideriamo un vanto. Vedere quel settore quasi sempre pieno nei big match è una grande soddisfazione. Logicamente, essendo frequentato principalmente da bambini, viene un po’ penalizzato dalle partite serali, come dai fattori climatici: pioggia e freddo. Però ci riempie d’orgoglio aver visto in cinque o sei occasioni almeno quattromila persone, con una percentuale di riempimento vicina al 90%”.
A proposito di notturne. La Roma è stata una delle società più penalizzate.
“Se parliamo del Distinti Famiglie certamente sì, perché il giorno dopo l’under 14 va a scuola”.
Per le strategie della biglietteria, cosa cambierà con il futuro stadio di proprietà?
Lavoreremo per una struttura quanto più possibile vicina alle esigenze dei tifosi. Quindi faremo una serie di considerazioni a più ampio spettro sulle modalità di acquisizione dei posti, quando saranno messi in vendita per la prima volta.
Meglio uno stadio con fumogeni, megafoni e tamburi, con calore e colore, oppure meglio uno senza?
Per chi ha la mia età, e dunque non è più giovanissimo, ricordare certi scorci della Curva di una volta è molto bello. Secondo me, con il buonsenso si possono sempre trovare degli accorgimenti. Al momento, però, ci sono delle regole precise.
Ma se queste regole potessero cambiare, lei sarebbe d’accordo?
“Le regole devono cambiare perché cambiano i tempi. Qualunque cosa finalizzata al miglioramento dello spettacolo, e sempre a patto che possa avvenire in sicurezza, è auspicabile. Nessuna regola è immutabile”.
Lei sa bene che megafono e tamburi furono vietati, per esempio, perché sei anni fa c’era chi temeva che così si incitasse alla battaglia contro le forze dell’ordine.
“Sono ragionamenti che allora potevano avere la loro valenza. In un preciso momento storico, quindi. In questo momento potrebbe, e sottolineo potrebbe, essere utile tornare a riconsiderare in una diversa ottica certe cose. La via maestra è sempre parlare. Con tutti. Con le istituzioni, con i tifosi, con i responsabili dei club che devono gestire le partite all’interno degli stadi. Si aprono i cosiddetti tavoli di concertazione e si decide lì se e dove intervenire. Penso che ogni “tot” anni sia intelligente riesaminare degli aspetti del calcio che possono essere migliorati”.
Articolo 9 della legge Amato. Per i lettori faccio una premessa un po’ lunga. Prevede un’espulsione a vita dagli stadi, poi mitigata dall’Osservatorio in un’interdizione massima di 5 anni (che però si somma a quella della sentenza penale), per chi sia stato condannato per reati connessi a manifestazioni sportive. In sintesi, nonostante abbia espiato la pena e quindi per il nostro diritto penale sia stato rieducato e reinserito nella società, il condannato resta fuori dagli stadi. È palesemente incostituzionale. Lei che ne pensa?
“Mi pare che si sia espresso proprio l’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, auspicando un intervento del Parlamento, l’unico organo che può modificare una norma di legge. È chiaro che anche qui viene in soccorso il buonsenso, suggerendone una rivisitazione. Come accade nel nostro ordinamento, se ho già scontato la mia condanna, è giusto che debba poter riacquistare tutti i miei diritti”.
Da un anno a questa parte riservate dei posti della ex Tribuna Autorità alle associazioni che lavorano con le disabilità. Un gesto straordinario.
“L’abbiamo fatto in silenzio. Non ci piace pubblicizzare questo tipo di attività. In verità, non accade solo nella ex Tribuna Autorità, ma anche in altri settori. Quando abbiamo a che fare con questi eroi che si occupano dell’assistenza dei bambini in difficoltà, ci fa assolutamente piacere invitarli per offrire loro quelle due ore, due ore e mezza, di svago. Diamo la possibilità non solo di vedere la partita, ma anche di incontrare i calciatori. Lo facciamo, senza alcuna retorica, perché ci sembra giusto poter regalare un po’ di felicità a chi è stato più sfortunato di noi.”