(M. Macedonio) – Un derby nel giorno in cui, se fosse ancora tra noi, Agostino Di Bartolomei avrebbe compiuto 58 anni. Una coincidenza che ha fatto riflettere tanti. Soprattutto alla luce di episodi che ancora una volta macchiano la cornice dell’evento sportivo e suonano quasi come un oltraggio alla memoria di Ago. Di cui però una traccia s’è vista, lunedì sera, se è vero che alla maniera in cui il capitano di quella Roma era solito prendersi la squadra sulle spalle, allo stesso modo un altro capitano – quello che “ce n’è solo uno”, ma dentro di sé porta l’eredità di quei grandi che l’hanno preceduto, Di Bartolomei in testa – ha saputo dare alla partita, al di là del risultato, l’impronta che solo lui sa dare. Una giornata vissuta da Luca, il figlio di Agostino, in maniera “normale”, come lui stesso ammette. «Non so se in passato, ma non mi sembra, sia capitato altre volte che il derby si sia giocato l’8 aprile»dice al Romanista. «E’ anche vero che oggi si gioca così a ciclo continuo, che è possibile avere partite in ogni giorno dell’anno, anche di lunedì, com’è stato. E a questo dovremo abituarci».
Che impressione ti hanno fatto, in una giornata come quella, i soliti, ahinoi, episodi di teppismo?
Credo che ciò che è avvenuto costituisca l’ennesima pagina nera del rapporto tra una frangia di violenti, che non è neanche giusto chiamare tifosi, e il mondo dello sport e del calcio in particolare. Fortunatamente, sono stati episodi gravi ma tutto sommato isolati e circoscritti a un centinaio di teppisti, almeno da quanto risulta dai rapporti delle forze di polizia. E’ un problema che si ripete con una ciclicità tale da farci capire come non siamo ancora riusciti a porvi rimedio. Comincio a pensare che qualcuno, all’interno delle tante istituzioni che si occupano di politica sportiva, dovrebbe chiedersi se si è fatto veramente qualcosa, fino ad oggi. E qualche considerazione trarla. Perché se non ci fosse l’operato di migliaia di agenti, che ogni sabato e domenica – e non solo nelle serie professionistiche, ma anche nei tanti campionati minori – continuano a svolgere nove volte su dieci in maniera encomiabile il loro lavoro, spesso prendendo botte o arrivando a fatica a fine mese, staremmo a parlare d’altro. Mi ha fatto molto riflettere, non più tardi di un mese fa, che un derby del salernitano, quello tra Nocerina e Paganese, si sia dovuto giocare a Pisa! E allora, se i presidenti delle varie Leghe e Federazioni si interrogassero di più, capirebbero che c’è una responsabilità della politica sportiva. Non si può caricare solo sugli agenti tutto il peso di un universo di violenza che si sfoga la domenica. Forse, nelle more del nuovo governo, il ministro Cancellieri potrebbe pensare a sensibilizzare questi presidenti e le istituzioni che rappresentano. Perché se in serie A gli episodi sono in numero limitato, man mano che scendiamo nelle serie inferiori dobbiamo ogni volta, purtroppo, moltiplicare per dieci.
E’ solo un problema di ordine pubblico? O anche culturale e, appunto, di politica sportiva?
E’ certamente un problema culturale. Ed è ovvio che questo si acuisca nei momenti di crisi sociale. Ma dall’altro lato, non essendo in prima battuta un problema di ordine pubblico, e soprattutto di ordine pubblico repressivo, che è solo l’ultima barriera, va da sé che sia soprattutto di politica dello sport. Mi spiego. Se gli introiti della serie A sono basati per l’80-90% sui diritti televisivi, questo dovrebbe consentire di avere un biglietto meno costoso per andare allo stadio. Dove non si andrebbe più da soli, condizione che innesca spesso il fenomeno del branco, ma magari in compagnia della famiglia. E se anche il calendario, e gli orari, permettessero ad un padre di portare il proprio figlio, grazie a prezzi più accessibili, è molto probabile che avremmo tanti problemi in meno. Se poi una quota fissa di quei diritti televisivi dovesse essere, per legge, destinata all’ammodernamento degli impianti o al miglioramento dei servizi, forse le cose andrebbero meglio. Ma dovrebbero essere le istituzioni sportive a pensarci e a fare il primo passo, senza aspettare che lo faccia la politica nazionale. Ma ogni volta che discutiamo di questo, assistiamo al consueto piagnisteo, salvo poi far passare mesi tra un problema e un altro, senza che nessuna faccia alcunché per cambiare la situazione. E in questo modo, si può solo ammazzarlo, il calcio.
Gli episodi dell’altra sera sembrano esserne la riprova.
E’ così. E non si può pensare che, per una partita di calcio, si debbano sempre mettere in assetto di guerra le forze di polizia. L’altra sera, oltre al flusso di coloro che andavano verso lostadio, c’erano decine di migliaia di persone che rientravano a casa dal lavoro. In quelle ore si sono bloccati interi quartieri. Ed è impossibile continuare a non vedere quello che accade. Per fortuna, a riconciliarti c’è spesso quello che succede sul terreno di gioco. E la partita di lunedì, a mio parere, ha visto un confronto leale e sportivo.
Come l’hai visto quest’ultimo derby? E soprattutto, come hai visto Francesco Totti?
Credo che i 227 gol in carriera testimonino la grandezza del più importante giocatore della storia moderna del calcio. Ed è bello vederlo, alla sua età, correre ancora dietro a ogni pallone. L’altra sera, tutte le palle propositive sono passate dai suoi piedi. Questo ci fa ben sperare, sapendo che firmerà forse per altri due anni.
Non può essere un limite dover dipendere sempre e solo da lui?
Quella di lunedì è stata una partita a suo modo singolare. La Roma, ovviamente, gioca meglio quando non deve dipendere da Totti, ma riesce a mettere Totti nelle condizioni di esprimersi al meglio. Stavolta, Francesco ha fatto i superstraordinari, in quella che secondo me è stata una bella partita. Con un pareggio che ci sta certamente un po’ stretto. Penso ai gol mancati, agli episodi sfortunati, e – non me ne vogliano i laziali – ma quel gol di Hernanes può essere ordinaria amministrazione per Totti, ma non certo per lui. E non so se gli riuscirebbe di nuovo…
Cosa ti aspetti da questo finale di stagione?
Che cresca l’affiatamento tra i giocatori e si continui a lavorare intorno a un gruppo che in troppi hanno dato già per costruito e prossimo a sfondare, mentre invece non è ancora così. Anche se credo che la Roma abbia un grandissimo organico, con giocatori che da qui a cinque anni dimostreranno tutto il proprio valore in Europa. Guardo insomma più a lunga scadenza e, per ora, sto con i piedi per terra. E dico che se riusciremo a far crescere bene questi giovani, accanto a uno che ha segnato 227 gol in serie A, qualche soddisfazione ce la toglieremo di certo. Se vogliamo invece le soddisfazioni già domani, non andiamo da nessuna parte.