(T. Carmellini) – Probabilmente l’oscenità vista all’Olimpico ieri pomeriggio contro l’ultima in classifica, una squadra che proprio a Roma ha conquistato il suo secondo punto nel girone di ritorno, a qualcosa servirà. Perché è evidente che dopo quanto successo, o meglio quanto confermato dalla Roma ieri pomeriggio davanti al suo pubblico attonito, la proprietà dovrà farsi delle domande e ripartire quasi da zero nell’immaginare la prossima stagione. C’è bisogno di una vera e propria epurazione, un reset totale, prima di tutto mentale, che consenta alla Roma di vincere almeno le partite contro le ultime in classifica (il ko a Palermo è roba fresca ancora), ma soprattutto la trasformi in qualcosa che assomigli, anche alla lontana, a una squadra.
Chiaro come non si tratti di una questione di gioco, o almeno non solo, o di allenatore. È un problema di testa in primis, ma anche di voglia, convinzione. Non è possibile che la Roma, ieri ma come in altre occasioni, non abbia capito come non potesse sbagliare la partita: ma è solo l’ultimo di una serie infinita di episodi dopo i quali i giallorossi si ritrovano con una classifica indegna e fuori dall’Europa. Risultato assurdo considerando come il campionato in corso assomigli sempre più a una mano di traversone, che ha aspettato fino all’inverosimile la squadra attualmemte allenata da Andreazzoli.
Poi c’è il discorso delle colpe, che stavolta vanno equamete divise: tra tutti. A monte ci sono quelle di una dirigenza che in due anni non è riuscuta a trovare l’assetto giusto per una squadra sbagliando due tecnici su due. Ma il cambio di panchina in corso d’opera rischia di diventare un alibi per il gruppo e anche questo sarebbe un errore.
Poi ci sono quelle del tecnico: bravo e capace a rimettere insieme una squadra scollata dopo l’addio di Zeman, ma che nonostante la striscia positiva (18 punti i dieci partite) non è ancora riuscito a dare un gioco e un’identità alla Roma. Impresa difficile, se non impossibile forse anche per chi la vive dall’interno come il tecnico toscano che ce la sta mettendo davvero tutta: ma è evidente che non basta. I cinque attaccanti di ieri confermano comunque il caos tattico.
Infine c’è la squadra, o meglio un gruppo di giocatori che, nonostante il cambio di allenatore, o forse anche a causa di questo, non sembra riuscire a trovare un’amalgama che la renda tale. Clamorosi anche ieri i blackout difensivi per un gruppo che ambisce a giocare in Europa il prossimo anno e che ha incassato un gol assurdo, da un ex giallorosso al secondo gol in campionato, dopo l’ennesima dormita colletiva. Brutto il primo intervento diStekelenburg, ancor peggio il «non» intervento di Marquinhos, per non parlare dei tempi di reazione e «rialzo» del portiere olandese: una lumaca. Ma sarebbe riduttivo parlare solo della difesa, in una giornata dove è difficile trovare una sufficienza: tolto il solito Tottie Destro (peccato per il giallo che gli costerà il Siena) che ha realizzato, subentrando, il terzo gol in tre giorni. Magra consolazione, così come il sorpasso sui cugini laziali, più disastrati dei giallorossi: non succedeva da due anni e in troppi, dopo il ko laziale a Udine, avevano già festeggiato il «sorpasso» come fosse una qualificazione in Champions. Che tristezza.
È questa la parola, «Champions», che sembra mandare in bambola la Roma, corto circuito fatale per la classifica e le ambizioni giallorosse. Alla vigilia Andreazzoli aveva commesso l’errore di rinominare la massima competizione europea e già i romanisti si erano rimessi lì, con calcolatrice e regolamento alla mano, per capire quanto e cosa servisse davverro per continuare a sognare il grande rientro in Champions. «Basta vincerle tutte» aveva ipotizzato qualcuno… Basta!? Ma se questa squadra non riesce a vincere all’Olimpico, davanti a quarantaduemila tifosi che hanno rinunciato alla gita fuoriporta, contro l’ultima in classifica già condannata in serie B. Forse questa Roma non merita nemmeno di giocare in Europa il prossimo anno: figuriamoci in Champions…