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REPUBBLICA.IT A parte Conte, Montella e Guidolin, quasi nessuno è certo della panchina. In Italia un allenatore ha un ciclo di 2-3 anni. Cambiare così tanto serve?

Antonio Conte

(F.Bocca) – Poche squadre italiane, dalle big fino alle più piccole, sono sicure della riconferma del proprio allenatore. Tranne Conte alla Juventus che avviandosi alla conquista del secondo scudetto consecutivo è ormai ben più di un semplice allenatore ma un manager adesso in grado di chiedere e anche ottenere moltissimo (e i segnali lanciati a Ibrahimovic mi sembra parlino chiaro). Tranne Guidolin all’Udinese, che però è un mondo a parte, quasi al di fuori – per tradizioni e comportamenti – dal calcio italiano. Tranne Montella alla Fiorentina che ha avviato un lavoro molto soddisfacente di impostazione della nuova squadra e che può diventare per i viola quello che è stato Prandelli per cinque anni.

Già a cominciare dal Napoli, secondo in classifica, non si sa se Mazzarri resterà. E non è la prima volta che si arriva a questo punto con l’incognita della riconferma.Non dipende dal club stavolta ma dall’allenatore, ormai tra i più quotati in Italia: ha offerte, è blandito da molti club (la Roma ad esempio) e il Napoli stesso sta cercando di trattenerlo con un contratto biennale da 7 milioni di euro. Mica pochi. Allegri al Milan non è visto benissimo da Berlusconi e la certezza della Champions League venuta a diminuire nelle ultime settimane ha riacceso quella snervante guerra psicologica cui ogni allenatore rossonero – da Sacchi stesso a Zaccheroni fino ad Ancelotti – viene prima o poi sottoposto.

Cerca dichiaratamente un nuovo allenatore la Roma americana che ne ha già avuti tre in due anni e uno diametralmente opposto all’altro. Potrebbe essere Mazzarri, potrebbe essere Allegri, potrebbe essere Pioli o qualcun altro: anche se è difficile capire come allenatori che vengono da squadre arrivate o che stanno per arrivare alla Champions League dovrebbero accettare il compito di rifondare una squadra che non dà alcuna certezza, immersa in un ambiente umorale. Sta cercando di non spezzare il filo che la lega a Stramaccioni l’Inter di Moratti, cui bisogna riconoscere – rispetto al suo passato – di aver difeso il tecnico fino in fondo, nonostante una stagione completamente sballata, che ha visto mancare progressivamente tutti gli obbiettivi e che ha messo a rischio perfino la qualificazione a una coppa europea. La Lazio confermerà, a meno di grandi sorprese, Petkovic, ma l’allenatore che così bene aveva cominciato nel girone di ritorno ha perso abbastanza il controllo della situazione, rimangiandosi la dote di complimenti del girone d’andata.

Alla fine è un cerchio, in due tre anni – quando va bene – l’allenatore italiano compie il suo ciclo, niente a che vedere col campionato inglese dove Ferguson e Wenger sono allenatori del Manchester United e dell’Arsenal quasi a vita.

A prescindere dai risultati che comunque per Ferguson sono stati eccezionali.In Italia si cerca sempre di costruire in fretta, e mentre si costruisce gli allenatori si avvicendano uno all’altro, lasciando spesso un lavoro a metà strada, che poi un altro deve cercare di completare e conciliare con il proprio. Mi chiedo, ma il campionato sarebbe così diverso se accanto alla Juve di Conte, al Milan di Allegri, al Napoli di Mazzarri, all’Udinese di Guidolin, avessimo ancora l’Inter di Benitez, la Lazio di Reja, la Roma di Luis Enrique e così via? Io non credo proprio. E anzi penso che sarebbe un campionato migliore.

Fonte: Repubblica.it

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