L’urlo in settimana di Sabatini combinato allo spirito di San Siro fa il suo lavoro per quasi un tempo. Roma viva, fluida, felice di essere Roma. Fino a quando Rocchi non spedisce il manesco Muntari a smanettare sotto la doccia. E’ lì, undici contro dieci, che Totti e compagni perdono la leggerezza di vivere alias calciare. Squadra talmente delicata che il minimo cambiamento di copione, non importa se a favore, la stranisce. Se aggiungiamo che Totti ha un tempo di sontuosa autonomia e poi solo ferraginoso mestiere e che il Lamela di ieri era l’impressionante negazione del Lamela di sempre, ci stava anche, matematica, la beffa orrenda. E, alla fine, quando s’è materializzato Pazzini, il carnefice in persona, vedi Sampdoria, l’istinto è stato quello di bendarsi. Da bendati non abbiamo perso molto, se non i sei minuti molto, ma davvero molto stravaganti inventati da Rocchi a vantaggio di un Milan ora molto rabbioso con i suoi cagnacci sparsi tra campo e panchina (Allegri su tutti). E purtroppo udito l’abbaiante parodia dei soliti noti in tribuna, che non è razzismo ma, molto peggio, irrecuperabile idiozia da gregge.
Detto che ora l’incubo è apparecchiato e che, per darsi un minimo d’Europa, alla Roma non resta che la Lazio, urge pensare positivo. Non solo all’allenatore che sarà (fondamentale ufficializzarlo prima del 26 per liberare tutta l’emotività giusta). Di cose buone e futuribili se ne sono viste diverse ieri. A partire dall’incredibile partita del sottovalutatissimo Bradley.
San Siro è stata anche la giusta platea per svelare senza più dubbi ed equivoci il talento di Dodò. Un suo musicalissimo anticipo al 21’ del primo tempo seguito da corsa leggiadra e assist sono stati una roba molto poetica. Vedere lui a sinistra e Marquinhos a destra (fenomeno ovunque) era visione da darsi alla pazza gioia, ora, domani e per sempre.
Fonte: Corriere dello Sport