(G. Dotto) – Eccola servita, nel più spietato dei modi. Era necessaria una pagina esemplare per chiudere la storia di un esemplare fallimento. Due anni di scelte sbagliate, di atti mancati, di dubbi estenuanti, ondeggiamenti e ripensamenti, di belle maniere e zero sostanza. Ingoiato il rospo, l’unica certezza è che bisogna ricominciare da qualche parte che somiglia allo zero e da qualche faccia che non somigli a nessun’altra faccia. E che questa faccia deve arrivare da molto lontano, possibilmente da un altro pianeta. Può essere Allegri l’uomo della Provvidenza? Naturalmente no. Uno che aspetta di sapere cosa farà Berlusconi di lui per capire cosa farà lui della sua vita. Dovrà avere la statura esplicita di un Capello o quella sommersa ma intuibile di uno Spalletti. Può essere un Bielsa o, persino, un Mancini.
Andreazzoli, povero, troverà ora liberatorio tornare nella sua nicchia. Si è attaccato alla coperta di Linus, il modulo, ma sotto il modulo niente. Squadra ammorbata da troppe teorie, uccisa dentro dalla confusione che è stata la dominante di questa società. Squadra che per un tempo non trova mai la luce, un corridoio, una soluzione. Gente senza personalità che si ricovera all’ombra di un totem che, per dichiararsi oggi veramente un leader, nel giorno più nero, dovrà liberare questa squadra da se stesso.
Squadra suicidata da un allenatore che, scegliendo Destro là davanti, e cioè un giocatore tecnicamente limitato, si preclude anche le poche possibilità che restano. E quando la partita gira, Andreazzoli è l’unico a non capirlo. Che, con l’uscita di Ledesma, la Lazio aveva perso il lume della ragione. Che lì bisognava colpire. Affondare. Niente. Ha bisogno dello sfregio di Luljc (quando riavremo un portiere decente?) per darsi all’ammucchiata, rinunciando a Marquinho, retrocesso a difendere, l’unico che aveva fin lì mostrato qualche cavallo più in corpo. Capolavoro. La Roma che resta è spettacolo penoso di un malinconico show che si chiama “vorrei ma non posso”.
Fonte: Corriere Dello Sport